L’opinione – I popoli sono come le nuvole

Vidiadhur S. Naipaul

Nato a Trinidad (Piccole Antille) nel 1932,
è uno dei massimi scrittori viventi.
Il 19 giugno scorso ha ricevuto
il premio internazionale Grinzane Cavour
“Una vita per la letteratura”.
Dotato di un inglese raffinato,
Vidiadhur S. Naipaul ha scritto romanzi e saggi, frutto di una ricerca rigorosa
e una forte tensione morale.
Lo scrittore, che non sopporta la superficialità dei giornalisti, ha risposto ad alcune domande durante una conferenza-stampa.

Signor Naipaul, lei ha viaggiato anche in paesi islamici e ha scritto «Fra credenti». Pensa che ci sia una rinascita del mondo islamico, una rivoluzione modea?
Ho visitato, per esempio, l’Iran nel 1979-80. Gran parte del linguaggio dei fondamentalisti islamici pareva una mimica del linguaggio della rivoluzione marxista. Per questo i marxisti in Iran hanno avuto tanti guai. Si sono dati alla causa religiosa e ne sono stati consumati. Quella non era una rivoluzione religiosa, ma un’azione reazionaria in gran parte nelle mani di persone senza cultura. Dobbiamo essere molto cauti e non lasciarci sedurre dalle parole apparentemente civili.
So che alcuni studiosi degli Stati Uniti ritengono che il fondamentalismo abbia aspetti positivi: stanno soltanto proteggendo il loro lavoro. Abbiamo visto e, ancora oggi, vediamo tutta la faccia nefasta del fondamentalismo in Afghanistan.
L’Iran è una tirannia. Non dobbiamo, però, frapporci tra le rivoluzioni e ciò che la gente vuole. Gli iraniani hanno voluto questa rivoluzione «farsa». È giusto che l’abbiano e che ne paghino il prezzo.

Le migrazioni hanno sempre caratterizzato la storia? Che ne pensa?
Se si potesse vedere la storia, come su foto inviate da un satellite, si vedrebbero le popolazioni in movimento come le nuvole. Se potessimo andare ai tempi dell’antica Roma, vedremmo le invasioni dei teutoni nel sud della Francia, dove Cezanne ha dipinto i suoi quadri famosi. L’Andalusia, regione della Spagna, ha preso il suo nome dai vandali dell’Europa orientale (la parola «anda» deriva da «vandalo»), mentre i turchi per secoli si sono accampati presso le rovine delle città dell’antica Grecia. In quest’ottica anche gli spagnoli hanno poi invaso il Nuovo Mondo.
Questo genere di migrazioni non può, però, essere paragonato alle attuali migrazioni «economiche» a cui forse state pensando.

Ebbene, come giudica le odiee migrazioni «economiche»? Conflittuali o incontri di cultura?
L’odiea migrazione è permessa e persino incoraggiata dai governi con le loro politiche. I kosovari in Italia potrebbero essere definiti «i migranti della Nato». La Nato ha fatto grande pubblicità. Ne siete preoccupati?

Lei lo sarebbe?
Se fossi italiano credo proprio di sì.

Cosa pensa dei molti conflitti che lacerano il mondo, in India come nell’ex Jugoslavia? Sono causati da motivi tribali?
Abbiamo parlato di «movimenti storici». Non userei l’aggettivo «tribale», perché penso che lo si possa applicare solo, forse, a sparuti gruppi che vivono nell’Antartico… Nessuno può pensare ad un mondo tribale o incoraggiare il mondo ad esserlo!
Il conflitto dei Balcani non è soltanto etnico. Le popolazioni locali hanno vissuto per decenni senza libertà, senza istituzioni libere, senza leggi in cui riporre speranza, senza valide tradizioni. La storia insegna che un popolo si sente potente nella propria etnia (che poi si rivela una trappola), quando non ha fiducia nelle istituzioni. Alle nuove generazioni dell’ex Jugoslavia bisognerebbe insegnare la democrazia e, con questa, sviluppare la fiducia nelle istituzioni.
Non userei l’aggettivo «tribale» anche perché penso che ogni persona possa avere cinque, sei, sette… idee di se stessa.
Per esempio, guardate questa signora (indicava la sottoscritta, che mi ero presentata come collaboratrice di una rivista missionaria): è italiana, giornalista, scrive per un periodico impegnato, ha una sua cultura, avrà visitato paesi del sud del mondo, conosciuto culture diverse…

Nel suo romanzo «Alla curva del fiume», ambientato in Congo, il protagonista Samir è di origine indiana e appare come una persona onesta, mentre la figura del despota racchiude i tratti di numerose dittature. Ha voluto sottolineare alcune caratteristiche universali?
Quando scrivo non mi chiedo se il protagonista è onesto: scrivo e basta. Sarà il lettore o il critico a giudicare i diversi personaggi.
Nel presentare la figura del dittatore in Congo, avevo in mente Mobutu e ho cercato di descriverlo. Non so se Mobutu sia «universale». Se tale despota ne ricorda altri, non è mio compito dirlo. Nei romanzi cerco di raccontare situazioni reali in un determinato contesto e momento storico.

Che cosa pensa degli scrittori indiani come Narayan?
Narayan è un grande scrittore indiano di lingua inglese: oggi ha più di 90 anni. Però è uno scrittore spirituale, mistico e nega la realtà. Ha perso la moglie quando era molto giovane e questo ha condizionato la sua opera. Scrive nell’illusione, nega le osservazioni della realtà. Per lui la realtà è falsa.
Scrivere un romanzo significa, invece, affermare che il mondo è reale, significa illustrare la solidità del mondo. Attenti, dunque, agli scrittori che cercano di raccontare la complessa realtà indiana imitando Joyce, Marquez o Hemingway!

Quali scrittori apprezza o apprezzava da studente?
Sono uno scrittore, non un lettore. Da giovane leggevo decine di libri per volta. Di ogni testo scorrevo con attenzione 50-60 pagine, cercando di sentire la musica nella scrittura. Ho apprezzato molto Maupassant.

Pare che il suo rapporto con i giornalisti sia terribile. Eppure non l’ho rilevato nei suoi scritti. Perché?
La mia irritazione non è causata dai giornalisti, ma dal loro bluff (inganno, boria). Personalmente non mi sognerei mai di diventare editore del Musical Express, perché non so nulla di musica. Ma purtroppo ci sono giornalisti che pretendono di intervistare uno scrittore senza aver letto almeno uno dei suoi libri o che scrivono copiando materiale d’archivio. Questi giornalisti sono un bluff, perché sciupano sia il proprio tempo che quello dello scrittore e commettono una frode nei confronti dei lettori, che non ricevono il servizio dovuto.
È un’occasione perduta per il giornalista, al quale chiedo: «Qual è il valore del tuo lavoro? Che rispetto hai di te stesso? Fai così settimana dopo settimana? Che cosa offri ai tuoi lettori? Come ti senti?».

P. S.
Non mi sognerei mai di fare domande ad uno scrittore senza aver letto almeno due dei suoi libri e aver deciso che vale la pena di intervistarlo.
Nel caso di Naipaul, avevo capito che è uno scrittore di valore, ma che non sarebbe stato facile incontrarlo.
Durante la conferenza-stampa, ho suggerito ad un collega di leggere «Una casa per il signor Biswas», in cui Naipaul è critico e ironico verso i giornalisti e direttori di giornali, oppure «Alla curva del fiume», in cui il protagonista è inorridito della superficialità con cui i giornalisti occidentali hanno descritto i massacri degli arabi lungo la costa dell’Africa orientale.
Naipaul ha apprezzato il mio suggerimento e ha commentato: «Vedo che lei si è preparata bene. Per quale rivista scrive?».
«Missioni Consolata» ho risposto.
S. B.

Silvana Bottignole

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