Abbiamo iniziato il 2000 con speranze e sogni di novità. Scampati, pure,
dai presunti disastri di un «baco» distruttore. Ma i problemi del mondo
sono sempre gli stessi.
Se ne siamo più coscienti,
potremo fare qualcosa di meglio
per non ricadere negli errori eterni.
nuovo
S iamo un gruppo di pre-adolescenti. Pur consci della nostra inesperienza, vogliamo tuttavia dire la nostra all’alba del nuovo millennio.
La riflessione inizia dai «nobili»: dai grandi castelli medievali, dalle torri gremite di guerrieri, dalle muraglie per difendersi dal nemico… che vuole impossessarsi dei loro averi.
In quei tempi esistevano due «vite parallele». La vita nel castello, con i ricchi, i guerrieri da difesa (questa è rimasta invariata fino ai giorni nostri!). Poi c’era la vita fuori delle mura, con gente semplice che si guadagnava il pane lavorando, sudando per quanti abitavano nel palazzo.
Fu così per un lungo periodo. I «nobili» o «grandi» costruivano roccaforti sempre più alte per intimorire il nemico, difendere i beni accumulati e rubati in battaglie. Più il castello era in una posizione proibitiva, più racchiudeva ricchezze…
L’uomo ha sempre camminato su due «trampoli»: l’orgoglio e la paura. Orgoglio: enorme stima di se stesso e dei propri mezzi, fierezza, amor proprio, fino a spingersi al vanto, rompendo spesso l’equilibrio con i simili.
Paura: sentimento che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo; preoccupazione che aumenta sempre di più, specialmente quando si è impreparati ad un evento o quando si possiedono molti averi, di cui si ritiene di non potere fare a meno.
I signori si pavoneggiavano e, per sconfiggere la paura, si facevano costruire castelli sempre più impenetrabili.
C ambiarono gli eventi, ma l’impostazione sociale della vita continuò. Finché, nel secolo XIX, la rivoluzione industriale pose fine al sistema precedente. In Inghilterra la rivoluzione toccò in modo speciale il settore tessile. Gli artigiani, che da secoli avevano filato e tessuto in casa su telai di legno azionati a mano, si trovarono spiazzati: infatti non potevano più concorrere con la nascente industria che si avvaleva di macchine a motore, che producevano più merce e a minore prezzo.
Gli artigiani dovettero abbandonare i telai e cercarono lavoro in fabbrica come salariati. Nacquero due nuove classi sociali: quella imprenditoriale (ricca) e quella operaia (povera).
I rapporti tra le due classi non furono improntati a giustizia. A parte lodevoli eccezioni, la classe operaia venne sfruttata: bisognosa di lavorare per vivere, ma priva di una legislazione che ne tutelasse i diritti, subì, con l’incertezza del salario, estenuanti tui lavorativi di 12-14 ore giornaliere in condizioni durissime. Vi sottostavano anche i bambini, senza alcuna assicurazione sociale.
S’impose il «problema operaio», davanti al quale due furono le posizioni assunte. Nella prima ci si schierò a fianco dei salariati e, con organizzazioni sindacali e leggi, li si sostenne nella rivendicazione dei loro diritti. Le persone, impegnate in vari movimenti, per lo più socialisti e cattolici, riconobbero l’utilità delle due classi sociali (imprenditrice e operaia), ma si batterono sul fronte politico, legislativo e sindacale per conquistare la giustizia sociale.
In Inghilterra ricordiamo il Cartismo, i Trade Unions (attuali sindacati), le figure di Robert Owen (assertore di un socialismo utopico) e del prelato Henry Manning, chiamato dagli operai «il cardinale dei poveri». I frutti delle loro azioni, pazienti e tenaci, si ritrovano ancora oggi nelle buone condizioni di vita che i lavoratori godono: specialmente nel Nord Europa, ove l’azione dei cristiano-sociali fu più tempestiva ed efficace.
Nella seconda posizione, di fronte al «problema operaio» incontriamo Karl Marx. Questi non si lasciò intenerire dalle tristi condizioni dei salariati, che vedeva con i propri occhi a Londra, e neppure si mosse per aiutarli; ma, conformemente alla sua filosofia, additò la soluzione del problema nella soppressione delle stesse classi sociali, da realizzarsi mediante la rivoluzione. Tale rivoluzione, proclamata nel 1848 con la pubblicazione del «Manifesto», esercitò una potente attrattiva sulle masse operaie.
Tuttavia l’interesse per Marx non si sarebbe spinto più avanti, se egli avesse solo teorizzato la rivoluzione. Ma, per Marx, filosofia e rivoluzione formano un’unità inscindibile: è impossibile fare la rivoluzione senza abbracciare la filosofia. Una filosofia che chiedeva ai lavoratori non solo la partecipazione alla rivoluzione, ma anche il rifiuto di Dio e di ogni religione, perché «oppio del popolo».
I due sistemi (socialista-cristiano e marxista-ateo) viaggiavano in parallelo, scrutandosi con un comportamento di «guerra fredda» tra est e ovest. Questo frontismo, come tutti sanno, durò a lungo, fino al crac del 1989, reso emblematico dalla caduta del muro di Berlino. L’est si è frantumato.
M a anche l’ovest è in «crisi». I paesi occidentali sono preoccupati, perché l’oriente asiatico si affaccia sempre di più sul nostro mercato, i paesi arabi avanzano. L’occidente sventola la bandiera del vincitore; si dichiara un sistema positivo ed efficace. In realtà conta molte matasse da sbrogliare.
Anche gli italiani si avvertono sempre di più soli, chiusi in se stessi. Le case sono diventate piccoli castelli, quasi come nei tempi andati, con cancelli elettrici, cinte sempre più alte, citofoni, videocamere e mastini. Si ha paura di tutto e tutti. Sentendosi sempre di più persi, gli interrogativi aumentano e le risposte tardano ad arrivare. Intanto ci si riempie di oggetti… «che ci fanno sentire vivi», offuscando i veri valori. La tecnologia sfoa ogni giorno nuove attrattive, foendo gingilli che ci sembrano indispensabili, ma sono tali solo in forza della pubblicità. L’importante è vendere, creando una buona economia. Ordine tassativo: «costruire» acquirenti il più possibile. Siamo nell’era della comunicazione o della confusione?
Siamo tutti come bambini viziati: appena ci sentiamo vuoti, acquistiamo qualcosa per riempirci, sentendoci momentaneamente «vivi» per poi ritrovarci «morti». Si possiede solo per lo sfizio d’avere, senza chiedersi se sia veramente utile o no.
Nuovo millennio, vecchi bisogni! E le nostre paure aumentano.
N oi ragazzi non vogliamo metterci sul terrazzo e fare solo da spettatori. Né vogliamo soltanto criticare. Vogliamo metterci in discussione: fermarci, respirare e capire quale sia la nuova strada da percorrere. E ben venga chi, più esperto di noi, ci darà una mano.
Millennium bluff?
Nel mondo sono stati spesi tre milioni di miliardi di lire per sconfiggere il millennium bug. Parola del TG1.
Noi dell’associazione PeaceLink non abbiamo speso una lira e i nostri computer funzionano benissimo. Come mai? Semplice: bastavano pochi ed elementari controlli di routine. Invece è stata regalata agli «esperti» e alle multinazionali dell’informatica una montagna di soldi per risolvere un problemino aritmetico da quinta elementare.
Tuttavia il millennium bug, anche se i mass media non lo diranno, ha le sue vittime invisibili: cento milioni di persone moriranno nei prossimi dieci anni, private delle risorse investite per sconfiggere il millennium bug.
Mentre diciamo queste cose, siamo considerati fuori dal mondo. La lotta ad un improbabile baco viene, ovviamente, prima di quella alla fame in questa «ragionevole società del capitalismo reale». I bambini possono anche morire. Ma i computer non possono sbagliare data!
Detta così, la cosa può creare sconcerto. Facciamo allora qualche calcolo. Le statistiche documentano una mortalità per fame, malattie e povertà variabile da 30 mila a 40 mila vittime al giorno. Cifre che, ovviamente, non devono turbare l’opinione pubblica e che, quindi, la TV dà raramente. Qualcosa trapela quando esce il rapporto dell’Unicef.
R itorniamo ai tre milioni di miliardi che – a detta del TG1 del 2 gennaio 2000 – il mondo ha speso per il «baco».
Informiamoci: potremo sapere che bastano 500 mila lire l’anno per adottare un bambino a distanza. Armiamoci di carta, penna e tabelline: potremo calcolare che, se si fosse speso anche solo la metà dei miliardi destinati al millennium bug, si sarebbero potuti adottare a distanza per dieci anni 300 milioni di bambini poveri, sfamandoli, curandoli, mandandoli a scuola per prepararli al lavoro, aiutandoli a costruirsi un futuro senza dover emigrare.
Nei prossimi dieci anni che fine faranno quei 300 milioni di bambini? Purtroppo non saranno sufficientemente bravi a gestire le 1.500 lire che le statistiche affidano loro quale reddito pro-capite giornaliero; non riusciranno (gli sciuponi!) neppure a pagare il debito estero della loro nazione nel nuovo millennio.
Pertanto, come si è detto, se ne perderanno per strada più di 30 mila al giorno, insieme alle loro mamme e ad altre persone deboli, affamate e malate di lebbra o Aids. E, nel 2010, di quei 300 milioni ben 100 milioni saranno scomparsi dall’anagrafe dei vivi: 100 milioni di desaparecidos che il «capitalismo reale» considera una perdita fisiologica e tollerabile per la civile coscienza dei suoi fans. Costoro avranno sicuramente delle statistiche per documentare che, nel medioevo, la mortalità infantile era in percentuale maggiore.
Quindi, tutto sommato, viviamo in tempi più che mai fortunati.
N el 2010, in soli dieci anni del nuovo millennio, 100 milioni di vittime del capitalismo reale pareggeranno la bilancia con le vittime di 60 anni di comunismo reale.
D’accordo, il capitalismo reale non le uccide. E che bisogno ci sarebbe? Tanto muoiono da sole. Saranno cento milioni in meno, che non peseranno sulle borse di New York o di Tokyo, che non appesantiranno lo stato sociale né nostro né dei paesi poveri e che voleranno in cielo assicurando prosperità al mondo computerizzato.
Eh sì, perché spendere tre milioni di miliardi nel millennium bug crea sviluppo, spendee anche solo la metà per salvare vite umane in un pianeta già così popolato… no! Se per il mercato globale la vita delle persone contasse, le associazioni umanitarie sarebbero quotate in borsa. Invece no.
I l baco ha fatto da paravento al millennium business: nel più grottesco dei modi. L’opinione pubblica si è, alla fine, accorta di essere stata manipolata dai mass media. Ma, quando la consapevolezza si stava diffondendo, è stata iniettata una nuova dose di propaganda. Bill Gates ha detto: «Il baco non è ancora sconfitto, attenti ai prossimi mesi». Sganciate altri soldi, insomma. Se lo dice lui, che è un cervellone, cosa potrà ribattere l’ignaro inesperto?
In realtà Bill ed «esperti» si sono indegnamente arricchiti grazie al millennium bluff.
Giovanni Fumagalli