Serbia – E’ tempo di girare pagina

Pregare per chi sta al potere è una consuetudine della chiesa ortodossa. Ma quando il potere
è contro il popolo e il vivere cristiano, opporsi
è dovere di ogni credente. Oggi la Serbia
è distrutta dai bombardamenti della Nato
e 14 milioni di persone sono strangolate
da tirannia, miseria e sanzioni economiche.
Per questo il patriarca Pavle invita
il presidente Milosevic a uscire di scena.
Senza ulteriori spargimenti di sangue.

Oltre ai 10 comandamenti, la chiesa ortodossa serba chiede ai suoi fedeli di rispettare altre regole: andare alla liturgia tutte le domeniche e feste religiose; digiunare (cioè non mangiare carne) prima delle feste principali (pasqua, natale, apostoli Pietro e Paolo e assunzione di Maria), nonché ogni mercoledì e venerdì; confessarsi e fare la comunione dopo i periodi di digiuno; digiunare quando lo ordina il vescovo a causa di qualche disgrazia collettiva; non contrarre matrimoni nei periodi di digiuno; non leggere libri eretici; non adoperare oggetti che si usano in chiesa; rispettare i sacerdoti; pregare per quanti sono al potere.
Dunque, pregare per chi detiene il potere è un comandamento della chiesa ortodossa. Essere al vertice di un paese, è una responsabilità enorme, che l’uomo da solo non potrà mai sostenere se non aiutato da Dio. E, per esserlo, serve la preghiera non solo sua personale, ma anche comunitaria.
Ma che fare se al potere c’è un non cristiano? Quando egli stesso non rivolge alcuna preghiera a Dio per essere aiutato a svolgere il suo dovere verso il popolo? Quando non va in chiesa e non rispetta né i comandamenti di Dio né, tanto meno, quelli della chiesa? Quando considera la chiesa solo un’istituzione da sfruttare a suo vantaggio?
Così è accaduto in Serbia a partire dal 1945, in Russia dalla rivoluzione d’ottobre, in Romania e Bulgaria. Questi paesi, in cui la religione principale era quella cristiano- ortodossa, hanno sperimentato un potere contro ogni tipo di religiosità: contro la chiesa, contro i sacerdoti, contro Dio stesso.
«La religione è l’oppio dei popoli – tuonava Lenin -. Preti, vescovi e cristiani sono tutti parassiti, inutili e nocivi, da eliminare insieme ai capitalisti». Ne erano pieni i campi di concentramento di Stalin e degli altri capi comunisti. Sorsero nuovi martiri che perdevano la vita per testimoniare la fede, come ai tempi dei romani.
Eppure, nonostante tutto, è rimasta la regola di pregare per quelli che sono al potere, perché la preghiera cristiana non ha limiti.
Gesù ci insegna a pregare anche per i nemici (Mt 5, 44) e gli apostoli Pietro e Paolo invitano a rispettare e ubbidire a quelli che sono al potere (1Pt 2, 13-17; Rom 13, 1-7).
Ma, allorché i governanti portano in rovina il popolo, quando ciò che chiedono è in contraddizione con i comandamenti di Dio e del vivere cristiano, è dovere di ogni cristiano disubbidire, opporsi.

La chiesa ortodossa è apolitica. «Non ha il potere di costringere, ma di proporre con parole di verità, indicando quello che è peccato, male individuale o collettivo, disgrazia in questa vita e in quella eterna». Essa si preoccupa, innanzitutto, per l’anima della gente. Ma ora che la sopravvivenza fisica e spirituale del popolo è minacciata, la chiesa ortodossa serba ha alzato la voce. Per la prima volta nella sua storia, si è schierata contro un potere: il potere di Milosevic.
All’inizio la chiesa sostenne il presidente, perché riteneva che fosse l’uomo giusto per riunire tutti i serbi in un unico stato. Presto, però, si accorse che la politica del presidente portava i serbi alla rovina.
Oggi il paese sta affogando con i suoi 14 milioni di abitanti, soffocato dalla tirannia, dalla miseria, dalle sanzioni che hanno reso impossibile qualsiasi progresso: distrutto dai bombardamenti della Nato.
Il 10 agosto 1999, a Belgrado, i vescovi della chiesa serba hanno ricordato agli uomini del potere che hanno il dovere davanti a Dio, al popolo e alla storia di trovare una via d’uscita alla situazione.
In base a tale dovere e responsabilità, per prima cosa hanno chiesto all’attuale presidente, se non desidera trasformare il suo popolo in ostaggio, portandolo a sicura rovina, di permettere che altri assumano la guida dello stato, in modo democratico e pacifico, senza versare altro sangue.
«Ci aspettiamo elezioni libere e democratiche. La chiesa non ha mai suggerito per chi votare. Abbiamo soltanto invitato i nostri fedeli a riflettere prima di scegliere. Se uno è credente, non dovrebbe dare il proprio voto a partiti o persone non credenti».

La chiesa ha chiesto alle Nazioni Unite e alle forze di pace in Kosovo di porre fine ai crimini contro la popolazione serba e alle distruzioni di chiese, monasteri e interi villaggi. Da quando si è ritirato l’esercito serbo dal Kosovo, il presidente Milosevic non ha rivolto una parola né al popolo rimasto nella regione né ai profughi che si sono rifugiati nella Serbia settentrionale.
Il patriarca Pavle è andato due volte in Kosovo, per incoraggiare i serbi a non abbandonare le loro case e avere fiducia nelle forze inteazionali. Ha supplicato i rappresentanti inteazionali di proteggere il popolo indifeso e minoritario, di difendere chiese e monasteri carichi di storia.

Snezana Petrovic

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