Missionari in pensieri, parole e opere
Sintetizzare il pensiero missionario del beato Giuseppe Allamano non è facile.
Si rischia di essere riduttivi. Ma alcuni punti sono precisi, irrinunciabili.
Li ricordiamo… in occasione della sua festa: il 16 di questo mese.
Il primo annuncio
Nel 1901 il beato Giuseppe Allamano fonda i missionari della Consolata per annunciare il vangelo a persone, gruppi e popoli presso i quali non è ancora conosciuto… E questa è l’identità del missionario della Consolata, sacerdote, suora e fratello. Ciò comporta crescere nella «passione» di far conoscere il Signore al maggior numero possibile di persone, e fare proprie le parole dell’apostolo Paolo: «Guai a me se non evangelizzassi!» (1 Cor 9, 16).
«Tutto io faccio per il vangelo» dice ancora san Paolo. E l’Allamano incalza: «Tutto, tutto! Mi sacrificherò per questo, fino ad accorciare o anche donare la vita. Per questo ci vuole fuoco»: il fuoco dell’amore per Dio e i fratelli in attesa dell’annuncio di salvezza e di aiuto fraterno nelle loro necessità.
Solo questo giustifica l’impegno per la missione, l’apertura all’universalità, la sollecitudine per i fratelli di ogni razza e lingua. Se non si arde – continua l’Allamano – non si farà mai nulla. Si condurrà una vita amorfa, insignificante. Tale ideale va sempre riproposto, perché sia «al primo posto», «in cima a tutti i pensieri». Altrimenti «ci si guasta», non si è più come si deve essere.
Andare oltre
Anche se situazioni di «prima evangelizzazione» sono oggi presenti in ogni ambiente, la prospettiva dell’Allamano è quella dell’universalità: chiede di non rimanere chiusi entro i propri confini territoriali, stretti dalle proprie necessità, ma di guardare a quelle più grandi in altri paesi. E ciò in obbedienza al comando di Cristo «andate in tutto il mondo» e a testimonianza della natura «cattolica» della chiesa. Se essa pensasse soltanto alle sue urgenze, non sarebbe fedele a Cristo.
Fa parte della vocazione dei missionari della Consolata l’uscire dai propri confini nazionali, culturali e religiosi, per annunciare il vangelo negli avamposti del mondo, in ogni parte della terra, dove esistono situazioni che manifestano una lontananza dal Dio di Gesù Cristo e dagli ideali del suo regno.
Pur operando sempre in Italia, l’Allamano stesso vive la dimensione missionaria dell’«andare oltre». Egli ne intuisce la portata all’interno di ogni chiesa: opera (e fatica) per cambiare una mentalità chiusa, incoraggiando a superare gli schemi della pastorale ordinaria, per sostenere iniziative nuove, affrontare situazioni di emergenza, settori bisognosi di evangelizzazione anche a Torino: il mondo della moda, il settore della stampa, la classe operaia, l’azione cattolica, le cornoperative…
Questo spirito è oggi più che mai attuale, e impone ai missionari di dae una speciale testimonianza.
Sette Atteggiamenti
missionari
Nel realizzare la missione ad gentes il beato Allamano indica anche degli atteggiamenti che esprimono il suo stile.
1. Dedizione totale
Le proposte dell’Allamano sono sempre esigenti, conformi alla radicalità del vangelo. Egli è comprensivo della debolezza umana, pronto a capire, perdonare, incoraggiare ad «andare avanti», ma non sopporta la mediocrità. La missione esige impegno totale e perpetuo. Essa, secondo l’idea dell’Allamano codificata dalle Costituzioni, «deve permeare la nostra spiritualità, guidare le scelte, qualificare la formazione e le attività apostoliche, orientare totalmente l’esistenza».
L’Allamano vuole missionari coraggiosi, energici, generosi.
2. Qualificazione
Di conseguenza chiede che i missionari siano qualificati. Ne è tanto convinto da ricorrere a espressioni insolite sulle sue labbra: «Dobbiamo essere tutti di prima classe. Qui voglio solo roba scelta, vasi ripieni di liquore prelibato». Per la missione, prima attività della chiesa, si deve dare il meglio.
È convinto che, più del numero, valga la qualità: meglio pochi, ma in gamba, capaci di fare per molti. Non pensa a superdotati. «Non abbiamo bisogno di aquile, ma di buone e ferme volontà».
Oggi la qualificazione è necessaria per essere mediatori culturali, veicoli d’incontro tra popoli, culture, religioni.
Inoltre la missione ad gentes è destinata alle frontiere, a situazioni-limite. Si deve confrontare con la globalizzazione economica, il pensiero postmoderno, i movimenti religiosi, il numero crescente di battezzati che hanno perso il senso della fede e appartenenza alla chiesa, la secolarizzazione di un mondo che pretende costruirsi su basi che prescindono da Dio e dai principi morali.
Ciò richiede evangelizzatori preparati, capaci di far leva sugli aspetti positivi di fenomeni in gran parte negativi.
3. Primato dello spirito
La qualificazione è soprattutto di carattere spirituale e morale. Il missionario è una persona attiva, che però pone a fondamento la ricerca di Dio. L’Allamano afferma: «Prima santi e poi missionari». È un «prima» riferito a tanti aspetti: preghiera, consacrazione religiosa, studio, pratica delle virtù umane e cristiane, impegno in ogni campo.
Per essere missionari ci vuole una marcia in più, o (se si vuole usare una delle parole più frequenti nell’Allamano) «uno spirito».
Che cosa egli intenda è detto bene nel documento preparatorio al X Capitolo generale dei missionari della Consolata: «Egli parla di spirito di povertà, spirito di obbedienza, spirito di sacrificio, spirito di preghiera, spirito di silenzio, spirito di umanità, spirito di fede, spirito di lavoro, spirito di distacco, spirito di carità. Spirito è una realtà che penetra, regge e nobilita altre. È profondità, intensità. È intuizione. È l’opposto di ogni formalismo. È totalità. È verità, soprattutto nell’essere missionari. È andare all’essenza delle cose. È farle bene».
«Voi – dice l’Allamano – dovete avere lo spirito dei missionari della Consolata nei pensieri, nelle parole, nelle opere».
4. Unità di intenti
La missione non è un’attività individuale, secondo criteri personali. È azione di chiesa in spirito di comunione, «in unità di intenti». Questa è una intuizione fondamentale, un principio basilare, un’idea fissa.
Si tratta di uno «spirito di famiglia» o «spirito di corpo», che per l’Allamano è il segreto di riuscita, l’obiettivo da realizzare ad ogni costo. Nel lavoro missionario l’unità è la condizione «più necessaria» e «più importante», senza la quale si rischia di lavorare invano.
La comunione tra i missionari diventa anche metodo di lavoro, estendendosi ai collaboratori, ai catechisti e ai membri più sensibili delle comunità cristiane. Si esprime all’interno e all’esterno: essere tutti per uno e uno per tutti.
5. Collaborazione con i laici
Proprio perché pensa sempre alla missione nell’unità, Giuseppe Allamano si adopera di coinvolgere anche le comunità cristiane, iniziando da quanti frequentano il santuario della Consolata di Torino, cui è rettore. La sua opera non sarebbe riuscita senza tale partecipazione.
Oggi è maturata una visione teologica che fa meglio comprendere l’impegno di ogni comunità cristiana nell’annuncio del vangelo. Il battesimo conferisce il diritto-dovere di impegnarsi, sia come singoli sia in associazioni, perché l’annunzio della salvezza sia conosciuto e accolto da ogni uomo, in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancora di più nelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il vangelo e conoscere Gesù se non per mezzo loro» (cfr. Redemptoris missio, 71).
Questa collaborazione, espressa in varie forme nell’ambito dell’istituto dell’Allamano, ha aperto ai laici nuove vie d’impegno nei paesi di missione come in Italia.
6. Stare con la gente
I missionari portano il «lieto annuncio». Devono farlo stando dalla parte di chi ha più bisogno di essere sollevato, colmato di gioia, anche alleviando mali fisici e morali causati da malattia, emarginazione, povertà, ignoranza.
L’Allamano raccomanda di «stare con la gente», andare a trovarla dove vive. È l’espressione del cuore compassionevole di Dio che diventa consolazione. È un programma iscritto nel nome stesso che i missionari portano: quello della «Consolata». Sul modello di Maria sollecita del bene dell’umanità, la missione tende a instaurare il regno di Dio, che è amore, bontà, misericordia.
Le Costituzioni dell’istituto hanno accolto tale istanza, proponendo di «essere presenti tra la gente con cui lavoriamo in modo semplice e fraterno, con contatti personali e con attenzione ai loro problemi e necessità concrete».
7. La promozione dell’uomo
Non è difficile scorgere l’intima correlazione tra la consolazione-liberazione-promozione e la missione. Dio, che ha visto la miseria del suo popolo e ha ascoltato il grido di aiuto, ha inviato Mosè a liberarlo dall’oppressione (cfr. Es 3, 7-11). Chiaramente la consolazione-liberazione è missione divina, dono del Cristo salvatore.
A noi è stato affidato il ministero di portarlo a tutti – si legge nel documento preparatorio al X Capitolo generale -. Senza difficoltà si può riconoscere che, nel nostro metodo di lavoro, evangelizzazione e promozione umana si sono sempre accordate. L’insegnamento del fondatore su questo è esplicito e frequente. E prese posizione per difendere questo suo principio… Noi dobbiamo assumere la condizione della gente e apprezzare i suoi valori. Le nostre certezze e pretese di superiorità, la nostra supposta e indiscussa dignità da salvaguardare si oppongono a una metodologia di comunione.
Gottardo Pasqualetti