Meno tecnologia, più spiritualità

Musica e solidarietà, un mero abbinamento pubblicitario o un sincero
interessamento per i più sfortunati? Può la musica arrivare dove altri falliscono?
Ne abbiamo parlato con due componenti dei «Nomadi», il complesso italiano
che da anni appoggia la causa del Tibet, paese schiacciato dalla dominazione cinese.
Il racconto della loro visita a Dharamsala e l’ammirazione nei confronti
del Dalai Lama, capo politico e spirituale del popolo tibetano.

Per alcuni i «Nomadi» fanno pensare ad un noto complesso pop degli anni ’60. I Nomadi, invece, continuano a esistere: producono dischi, fanno oltre 150 concerti all’anno, hanno un nutrito stuolo di fans e, ciò che più ci interessa, spendono la loro immagine a favore di molte cause e di molti popoli oppressi. Noi li ricordiamo, tra l’altro, come testimonials per la Colombia e il Caquetà nella giornata conclusiva della campagna «Non di sola coca».
Impegnati da anni a far conoscere nel nostro paese la tragedia del Tibet, conquistato ed oppresso dalla Cina comunista, i Nomadi hanno suonato nell’ottobre scorso a Milano in un concerto tenutosi in occasione della visita in Italia del Dalai Lama.

A biamo incontrato, durante le prove del concerto milanese, Beppe Carletti (tastierista e membro storico del gruppo) e Danilo Sacco (cantante e frontman).
I Nomadi sono noti anche per il loro impegno in molte attività umanitarie. Ma, tra le tante cause per cui lottare, perché avete scelto proprio il Tibet?
Danilo: «In generale, ogni popolo che soffre riceve la nostra attenzione. Il Tibet ci ha colpito particolarmente, perché è un polmone di cultura e fede. Se questa cultura fede andassero perdute, credo che il mondo ne risentirebbe moltissimo. E, purtroppo, questa perdita è già in atto, perché i cinesi con la loro repressione hanno distrutto gran parte dei monasteri e deportato tantissima gente.
Pur vivendo nell’epoca dei mass media, del Tibet si conosce poco e soprattutto non si sa della repressione che ha subìto e sta ancora subendo. Purtroppo, se non passa in televisione, la gente pensa che queste cose non esistano… Invece eccome se esistono: c’è un popolo che sta soffrendo da decine di anni e ci sono stati già più di un milione e 200 mila morti.
Il nostro impegno allora è questo: testimoniare ciò che sta accadendo. Noi quindi facciamo prima di tutto una campagna di informazione.
Il Tibet per noi è importante, anche perché abbiamo conosciuto sua santità il Dalai Lama, una persona che ci ha colpiti molto. Ci hanno stupito la sua dolcezza e tenerezza incredibili. Egli è il capo spirituale – e anche politico – di un popolo che è stato massacrato. Ci chiediamo sempre come faccia a mantenere la scelta per la nonviolenza, a voler seguire con il suo popolo questa strada, qualunque cosa accada. Questa è la cosa che più ci ha impressionato».
Beppe: «Già nel ’95, in occasione del disco Tributo ad Augusto (Augusto Daolio, già cantante dei Nomadi, morto per un cancro il 7 ottobre 1992, n.d.r.), abbiamo voluto devolvere gli introiti del disco a 3 associazioni: una che si occupa dei bambini palestinesi, una di un orfanotrofio a San Paolo del Brasile e la terza di bambini tibetani. Ci sembrava giusto beneficiare tre realtà così diverse e lontane. In seguito, io sono stato tre giorni in un monastero tibetano, a Sheherezed, nel sud dell’India, dove ho potuto incontrare i bambini tibetani che là erano ospiti. Tra l’altro, questa sera ci sono dei coristi che vengono proprio da Sheherezed.
Nel ’95 siamo stati tutti insieme a Dharamsala, un paese nel nord dell’India, abitato completamente da profughi tibetani. Qui abbiamo incontrato il Dalai Lama, che in quella occasione ci ha detto una cosa molto bella: cioè che la musica può fare tanto per la causa tibetana. E in effetti è vero: non è necessario suonare musica tibetana, ma quando noi saliamo sul palco a inneggiare al Tibet e alla sua liberazione, questo è qualcosa che la musica fa… Perché quello del Tibet è un popolo che ha bisogno non tanto di denaro quanto soprattutto che si sappia cosa accade.
E poi, come sottolineava Danilo, il Dalai Lama ha una spiritualità ed un sorriso grandissimi… Mi ha colpito molto quando ha detto “si deve perdonare, ma non si deve dimenticare”. È stato un incontro incredibile, di oltre un’ora, e non è comune poter avere un incontro così lungo con lui, premio Nobel per la Pace, capo spirituale e politico di una nazione.
Quando eravamo là, c’era con noi un amico carissimo, di Reggio Emilia, che subito ha detto: “Bene, possiamo organizzare una manifestazione davanti all’ambasciata cinese…”. Ma Dalai Lama ha risposto: “No! Non fate queste cose, non c’è bisogno… Noi vinceremo con il sorriso…”. E lui ti accoglie con questo sorriso che, da solo, ha la grande prerogativa di farti stare bene e di metterti a tuo agio. Non so se sia lui come persona o ciò che rappresenta, ma è così. Vale la pena di portare avanti questa causa. Noi, con la nostra musica, crediamo di poter fare qualcosa».
Danilo: «C’è un’altra frase che, secondo me, fotografa bene quello che è il Dalai Lama. Egli è soprattutto un capo spirituale, il capo spirituale dei buddisti tibetani mahayana. E proprio lui dice: “Non dovete cambiare religione. Non cambiate religione: le religioni sono tutte positive. Cambiate voi stessi!”».
Beppe: «Anche a quelli che vogliono avvicinarsi al buddismo egli dice: “È bene che lo facciate, così potete capire meglio anche la vostra religione”. Lui non vuole “rubare” fedeli alle altre confessioni. Questo è molto bello».
Danilo: «Questo è un punto da mettere in evidenza: il buddismo mahayana non ha mai cercato di fare proselitismo. Ed è bello che questo stesso principio ci sia stato ripetuto anche da Dwayne, sciamano e capo spirituale della tribù sioux dakota. Anch’egli ci ha detto: “Non dovete cambiare religione per cercare qualcosa di diverso. Per cercare una maggiore armonizzazione, cambiate voi stessi”. Lo stesso concetto espresso da due persone completamente diverse, che vivono a migliaia di chilometri di distanza».
Voi avete incontrato il Dalai Lama, siete stati a Dharamsala… Il popolo tibetano è composto in gran parte da monaci. Cosa vi ha colpito di queste persone?
Danilo: «Prima di tutto, quando si incontrano culture così lontane dalla nostra, è importante lasciare completamente a casa i preconcetti di uomo europeo. Soltanto aprendo il cuore si può riuscire a capire quello che queste persone hanno da dire. I tibetani hanno fatto una scelta opposta della nostra: noi abbiamo demandato tutta la nostra vita alla tecnologia: più tecnologia, meno spiritualità… Essi hanno fatto l’esatto opposto: meno tecnologia, più spiritualità. Di conseguenza noi siamo convinti di essere avanzati, perché abbiamo il telefonino, la macchina eccetera… In realtà poi non è così: conoscendo bene le loro opinioni e le loro idee, credo che il vero progresso sia il loro, perché progrediscono dentro e non fuori. Io sono convinto, ad esempio, che la scienza e la medicina europee si avvicineranno sempre di più a questa cultura, perché ha molto da insegnarci».
Beppe: «Noi a Dharamsala siamo stati tre giorni, e quello che ci ha colpito è stata la spiritualità che essi vivono così a fondo. E poi il sorriso che ha il Dalai Lama lo hanno tutti… Dharamsala è un paese, di circa 1.500 abitanti, popolato totalmente da tibetani. Anche se geograficamente è in India, si entra in un altro mondo. Si incontrano i monaci, che sono quasi continuamente in preghiera. La cosa bella è questa: vivono totalmente la loro spiritualità, te la trasmettono, ti fanno stare bene quando sei con loro. La spiritualità si “respira” è nell’aria, non si può fare a meno di incontrarla.
Al monastero di Sheherezed, per esempio, i monaci iniziavano la preghiera al mattino all’alba e andavano avanti fino a sera tarda, con alcuni che portavano da mangiare e bere, perché gli altri non interrompessero la preghiera. Questa è una cosa bellissima, che colpisce e fa riflettere. Insomma, ti rimane dentro».
L’incontro con una cultura così diversa può cambiare la vita delle persone?
Beppe: «Posso parlare per me. Io non so se sono cambiato. Sinceramente se dicessi “sì, sono cambiato, mi ha fatto cambiare”, sarei un bugiardo. Se sono cambiato non me ne sono accorto, anche perché il tempo in cui sono stato là è poco rispetto ad una vita. Però sono sensazioni che mi porto dentro. Anche se non sono cambiato io, può darsi che io trasmetta queste emozioni ad altri che mi ascoltano…».
Danilo: «Per me questo incontro è stato importante soprattutto perché ogni cultura, diversa dalla tua, ti arricchisce molto, se tu ovviamente tu non la rifiuti. E questo è già essenziale.
Si dovrebbe imparare ad accogliere tutte le diversità, ad avere voglia di confrontarsi. La fusione delle culture, prendendo il meglio da ciascuna, credo che sia l’unica salvezza del mondo. E la cultura tibetana è una delle più importanti e antiche. Se la salviamo, salviamo anche una parte di noi stessi».

Ugo Finardi

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