Burundi come Rwanda?

Spettabile redazione,
qui cerchiamo di procedere «moltiplicando l’attenzione» o, come si dice da queste parti, «tenendo le orecchie al coperto».
Gli ultimi violenti attacchi a Bujumbura da parte dei guerriglieri, le rappresaglie dell’esercito e la continua instabilità (anche sulla strada che dobbiamo percorrere per raggiungere la capitale)… hanno elettrizzato l’ambiente.
Il grosso pericolo sta nelle milizie tutsi (i famigerati sans échec) che si starebbero riarmando per «difendersi». Sono gruppi pericolosissimi, perché pilotati da estremisti e senza il controllo di alcuna autorità. A Gitega ci sono molti «ex», impazienti di riprendere le armi.
Uno scenario possibile (speriamo di sbagliarci) è un’esplosione di violenza simile a quella del Rwanda nel 1994.
Intanto ad Arusha (Tanzania) i colloqui di pace proseguono senza progressi rilevanti. In questi giorni c’è un nuovo giro di consultazioni. Ma non tutti siedono ad Arusha, e gli assenti aumentano la violenza proprio durante «i colloqui di pace», per far sapere che ci sono e sono forti. Voci di incontri diretti e segreti tra questi gruppi e il presidente Buyoya potrebbero essere vere e portare a soluzioni.
Ma il presidente è in bilico e, se salta, saranno grossi guai.

Burundi, Rwanda… Siamo nella regione africana dei Grandi Laghi, forse la più calda del mondo, dove la pace sembra una chimera.
I timori, espressi dalla lettera pubblicata, sono confermati anche dalla lega Iteka, un importante gruppo burundese che si batte per i diritti umani. «Nonostante tre decenni di violenza ciclica, cinque anni di guerra civile e un anno di parole a Arusha – scrive Iteka – il Burundi è ancora sotto la minaccia di forze antagoniste, settarie e fanatiche». In altri termini, tensioni estreme fra tutsi minoritari e hutu maggioritari.
La comunità internazionale ha fatto sapere che non aiuterà il paese fintanto che gli accordi di pace di Arusha non si concluderanno positivamente. Intanto si vive nel terrore del peggio. E non mancano gli eccidi.

Lettera firmata




“Consolata”

Cari missionari,
la mia commozione è grande! Ho ricevuto la grazia dalla Madonna Consolata, che ha esaudito il mio più grande desiderio dopo averla pregata con fede.
Sono una ragazza di 19 anni e scrivo per ringraziare, anche pubblicamente, la Vergine… Tutto mi andava male fino al giorno in cui mi sono rivolta a lei; e lei ha messo le mani su di me. Oggi mi sento anch’io un po’ consolata.
Anche se la situazione resta delicata, continuo a pregare. Aiutatemi pure voi, pregando per me.

Certamente, Alessandra. Preghiamo anche «con» e «per» tante altre persone. È pure «un dovere di riconoscenza» verso tutti quelli che vogliono bene ai missionari.

Alessandra




Strage nella…donazione d’organi

Egregio direttore,
con la legge 91/99, lo stato italiano ha decretato l’esproprio del corpo umano in nome di un solidarismo di facciata, che nasconde ben altri interessi inconfessabili. Mentre sull’aborto ed altre aberrazioni la chiesa ha fatto sentire la sua voce autorevole, così non è stato nei confronti del trapiantismo selvaggio, della falsa morte cerebrale, dell’immane e silenziosa strage. In questo caso, la voce della chiesa è stata flebile, tardiva e spesso compiacente, salvo eccezioni.
Si è costruita un’etica che ha dato ai medici il potere di decidere chi deve morire. Non c’è vera etica se non quella che protegge ad oltranza la persona umana; tutto il resto porta ad una società disumana, totalitaria, che impone la morte dei deboli in nome della vita dei forti.
Con il riscontro diagnostico, a discrezione assoluta del primario ed effettuato anche a cuore battente, si aggira l’ostacolo della manifestazione di volontà contraria alla «donazione».
È di tutta evidenza che, come i donatori di sangue e di midollo osseo sono vivi, così lo sono altri donatori di organi; ma sono dichiarati morti, per sottrarre medici ed operatori sanitari all’incriminazione per omicidio volontario, aggravato dal raggiro ai danni dei familiari del morente.

Nel dicembre scorso Missioni Consolata ha sfiorato il problema della donazione di organi, senza però addentrarsi in questioni giuridiche che non le competono.
Riteniamo illuminante un articolo de La civiltà cattolica, 18 settembre 1999, che riporta anche il pensiero di Pio XII. Nel 1956 papa Pacelli affermava che il prelievo della cornea, per esempio, non offende la pietà dovuta al defunto, ma acquista il significato di carità verso i fratelli. Questo e fatti analoghi hanno nulla a che fare con il «trapiantismo selvaggio», certamente da condannare.

Carlo Barbieri




Consensi da Israele

Caro direttore,
le farà piacere sapere che l’intervista, apparsa su Missioni Consolata di settembre 1999, ha raccolto consensi sia sulla presentazione che sui contenuti. Due diplomatici in Israele hanno voluto esprimere apprezzamento, come pure monsignor Capovilla, antico segretario di papa Giovanni XXIII. È piaciuto anche il riquadro dove si accenna al «solito ignoto».
Qui a Gerusalemme ci si prepara al 2000: incontri, progetti e programmi, nella speranza che non si perda di vista l’essenziale.
Barak e Arafat persistono, tra un arresto e una ripresa, a scommettere sulla reciproca volontà di pace. Sarà difficile, ma non impossibile arrivare a un negoziato tra i due contendenti. Poi sarà la volta della Siria, osso duro, punto nodale e decisivo per la stabilità della regione.

I lettori ricordano certamente l’intervista su Israele con padre Marco, che ha lavorato anche con papa Giovanni. E rammentano pure la vicenda del «solito ignoto», alias Sandro Pertini.

p. Marco Malagola




Lillipuziani, gettate le reti!

I l ritornello è arcinoto: la ricchezza aumenta, ma ancora di più crescono i processi d’impoverimento, esclusione sociale e saccheggio dei beni naturali. Ma guai se restasse solo uno sterile ritornello, sia pure accorato! È possibile passare dalle parole ai fatti? Noi crediamo di sì.
Oggi, accanto ai giganti socioeconomici, si muove una galassia di piccole associazioni e movimenti, che si battono per riaffermare diritti vecchi e nuovi, con l’intelligenza di chi guarda al proprio paese senza scordare il mondo. Qualcuno ha definito tale galassia l’«arcipelago lillipuziano».
Nel 1725 Jonathan Swift, scrittore e politico irlandese, pubblicò I viaggi di Gulliver. È una favola: alcuni minuscoli «lillipuziani», alti solo pochi centimetri, catturano il gigante predone-padrone Gulliver; lo legano nel sonno con centinaia di fili. Gulliver avrebbe potuto schiacciare con un dito ogni singolo lillipuziano; ma ora la fitta rete tessuta intorno a lui lo rende impotente.
Una vicenda che richiama quella di Polifemo, beffato da Ulisse, o di Golia, abbattuto da Davide. Con una differenza: contro il potente Gulliver non si muove un individuo soltanto, ma tanti piccoli esseri, uniti in una «rete». La morale della favola è evidente.
In Italia e nel mondo – come abbiamo visto nel dicembre scorso a Seattle – è vivo il desiderio, condiviso da tanti movimenti, di combattere contro le ingiustizie, gli inquinamenti, le indifferenze. E ogni associazione propone (ma ciascuna per la sua strada) iniziative di solidarietà, resistenza, informazione: l’intento è di soccorrere le vittime, fermare gli oppressori, sensibilizzare la gente.
È possibile abbattere il gigante Gulliver operando ciascuno in ordine sparso? Riteniamo di no. Ebbene: perché non coalizzarsi come i piccoli ma intelligenti lillipuziani? Allora le tante voci isolate diventano un coro, i deboli fili una rete.
Anzi, una rete di reti. Ed è proprio vero che l’unione fa la forza. Una forza comune per creare, ad esempio, un’economia diversa, fondata sulla sobrietà dei consumi, l’equità fra le classi sociali, la sostenibilità dello sviluppo. Alcuni centri missionari diocesani già operano in sinergia con altre forze; ma hanno aggregato soltanto «i soliti». Bisogna, invece, allargare il cerchio.
A tale scopo, a Torino, è nata la Scuola per l’alternativa: la Comunità impegno servizio volontariato (Cisv), i Missionari della Consolata e il Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis) si sono messi in rete per affrontare le schiavitù della globalizzazione: e, con loro, si sono viste facce nuove. Più numerose del previsto.
Duemila anni fa, ad alcuni pescatori scoraggiati (non avendo catturato un solo pesce durante una notte intera) un Tale disse: «Gettate le reti da un’altra parte». Il risultato fu strepitoso.
Poi quel Tale aggiunse: «Io vi farò anche pescatori di uomini».
La Redazione

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