Carezze

Cari missionari,
ho osservato sulla vostra interessante rivista i padri e i fratelli che ci hanno lasciato per ritornare alla «casa del Padre»… e i miei occhi si sono inumiditi.
Questi «eroi» sono vestiti come noi, forse con gli stessi nostri difetti, ma con un entusiasmo mai domo, una speranza mai soffocata, una fede mai annacquata, e hanno dimostrato con i fatti che, quando si lascia cantare Dio nel cuore e nella mente, può nascere un arcobaleno: un arcobaleno che a noi serve per catturare un pezzo di cielo. Voi, cari missionari, siete proprio le «palpebre», ossia le carezze della nostra anima.
Ennio A. Rebuffini
Torino

La lettera contiene pure una nota, che ricorda come «palpebra» derivi dal latino e significhi anche «carezza». Che i missionari siano «le carezze della nostra mente» è un apprezzamento straordinario. Non meritiamo tanto.

Ennio Rebuffini




L’ineffabile Fidel

Caro direttore,
ho letto di recente su un numero di «Times» (Londra) la classifica, aggiornata annualmente dalla rivista «Forbes», delle persone più ricche del mondo. «Vanitas vanitatum»!
In questa classifica compare un certo Fidel Castro, residente a L’Avana (Cuba), il cui patrimonio è stimato in 100 milioni di dollari USA (circa 170 miliardi di lire), distribuito fra miniere di nichel, piantagioni di canna da zucchero e risorse turistiche. Non c’è male per un osannato esponente del proletariato mondiale!
Che cosa ne dicono gli adoratori dell’ineffabile Fidel?
Pier Giorgio Motta
Torino

Noi non siamo tra gli «adoratori» di Fidel, ammesso che esistano… Spesso la coerenza di vita lascia a desiderare in molti. Certamente in noi.

Pier Giorgio Motta




Non sono Pinochet!

Mai più! Come pure: never again, nunca mas, jamais plus, nimmermehr! Cioè: mai più campi di sterminio, abusi sui bambini, pulizie etniche, bombardamenti su popoli inermi… «perché tutti gli esseri nascono liberi e uguali in dignità e diritti». Così recita il primo dei 30 articoli della «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», sottoscritta da 48 nazioni, a Parigi, il 10 dicembre 1948.
La Dichiarazione si lascia alle spalle 50 anni, durante i quali il suddetto «mai più» è stato smentito troppe volte. I suoi 30 articoli sono stati spesso solo pie esortazioni, o quasi. Anche oggi. Così, il 10 dicembre scorso, mentre tutto il mondo celebrava il cinquantenario dei diritti dell’uomo (fra cui il diritto alla vita), qualcuno festeggiava il rito della morte. L’ultima vittima della pena capitale è Tuan Anh Nguyen, profugo vietnamita negli Stati Uniti, giustiziato con una iniezione letale in Oklahoma a 39 anni. Era reo di omicidio.
Le violazioni dei diritti umani costituiscono una catena infame, con anelli numerosi come le stelle del cielo. Una tragedia infinita, che accusa anche l’Italia.
In barba alla Dichiarazione, sono 250 mila i ragazzi e le ragazze che imbracciano il fucile in eserciti regolari o gruppi guerriglieri, alla mercé di despoti e dei loro 33 conflitti armati in corso.
C’è il diritto ad «un livello di vita sufficiente ad assicurare la propria salute e quello della famiglia». Come mai, allora, 1 miliardo e 300 milioni di persone sopravvivono con meno di un dollaro a testa? È nata una categoria sociale nuova: quella degli «esclusi», penalizzati soprattutto dalla mancanza di lavoro nel mondo della globalizzazione.
Pesanti discriminazioni si abbattono sulle donne, che vanno dall’imposizione di un certo vestito all’«obbligo dell’ignoranza», dai matrimoni forzati alle mutilazioni sessuali.
La libertà religiosa non solo lascia molto a desiderare, ma è fonte di ritorsioni e persecuzioni. I regimi di Cina, Arabia Saudita, Sudan, Indonesia ecc. lo dimostrano.
Non ultimo il dramma dei profughi: un esercito di 50 milioni di persone, quasi sempre considerate una minaccia nei paesi dove cercano rifugio.
«Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace»: è il motto della Giornata mondiale per la pace, che si celebra il 1° gennaio 1999. È proprio il rispetto, sorretto dalla giustizia, la via maestra della pace. Per noi, che abbiamo la fortuna di una casa, il rispetto dell’altro incomincia all’interno delle pareti domestiche.
E, per favore, non diciamo: «Non sono mica Pinochet!».
La redazione

La redazione