LETTERAChe il sangue non vi condanni!

Lettera aperta sulla guerra tra Eritrea ed Etiopia

«Ato» (signor) presidente dell’Eritrea Isayas Afework,
«Ato» primo ministro dell’Etiopia Meles Zenawi,

come state? State bene?… Io sto bene, ringraziando il Signore. E le vostre famiglie stanno bene? I vostri figli stanno bene?… La mia famiglia sta bene. E le vostre nazioni e patrie stanno bene? C’è pace? C’è vera pace?… La mia nazione e patria, l’Italia, sta bene.
Vi scrivo dall’Italia, dove mi trovo con un exit-reentry visa per l’Etiopia, nella cui Federazione, stato dell’Oromia, mi trovo dal 1979 con un permesso di lavoro nel campo educativo. Sono in Italia per cure mediche.
Da sabato, 6 febbraio 1999 (Ter 29, 1991), i giornali italiani riferiscono che ogni giorno i fratelli e cugini dell’Eritrea ed Etiopia combattono… e già si contano i morti. Signori, so che avete poco tempo per leggere questa lettera, perché ora vi preoccupano la guerra e la vittoria, e non più lo sviluppo e la pace. Quindi sarò breve.
Per favore, signori, non pensate e non dite «da qui non si torna indietro», perché solo con la pace avrete prosperità e sviluppo. La vostra potenza sia il dialogo, il parlarvi come un tempo. Fatelo, magari anche in segreto, ma fatelo e coinvolgete i vostri collaboratori. E i popoli che governate vi seguiranno con maggiore sacrificio di prima.
Non aspettate che la storia vi denunci. Non aspettate che il sangue dei vostri martiri vi condanni, avendolo essi sparso a basso prezzo. Finora siete stati «grandi»; non diventate «piccoli» giocando alla guerra. L’Africa e tutto il mondo guardano a voi, alla vostra capacità di saggezza, che vale molto di più di tutte le guerre combattute e che si combatteranno.
Cambiate la terra del liksò (dolore), in terra di ililtà (gioia). Allestite le «tende» della riconciliazione e della pace, dove ci sarà grande festa per entrambe le vostre grandi nazioni.
Quando ritoerò a Gambo, nel woreda (distretto) di Kofole, nella zona dell’Arsi dello stato dell’Oromia, vi inviterò ad una grande festa.
Che il Signore vi benedica! Che i vostri popoli vi benedicano! Anch’io vi benedico!
Che il Signore vi dia buone piogge e tanto raccolto! Amìn, amìn! Selamtà (con saluti).

«abbà» Giuseppe Giovanetti,

missionario della Consolata
Torino – Italia, 11 febbraio 1999 (Yekatit 4, 1991)

Giuseppe Giovannetti




LETTERAAncora sui 100 anni

Caro direttore,
ho visto il numero speciale sul centenario di «Missioni Consolata». L’idea di costruire il numero su due piani è stata eccellente: nel piano superiore figura la missione vissuta oggi, mentre nel piano inferiore appare la missione testimoniata dai 100 anni della rivista. La qualità dei testi e delle foto è straordinaria.
Interessante pure è l’inchiesta fra i lettori sui contenuti della rivista.

Il numero dei «nostri» 100 anni è da conservare. Sono ancora disponibili copie a prezzi agevolati.

Jean Parè




LETTERA”Solo 25 anni”

Cari missionari,
nel 25° anniversario di ordinazione, vorrei fare pregustare a tutti la gioia di essere sacerdote e dire una parola ai giovani: «Ascoltate Gesù che vi chiama. Non rifiutate il suo invito alla vita consacrata e missionaria. A tale scopo, prego tanto per voi».

Venticinque anni di sacerdozio non sono tanti. Ma sono significativi per don Alfonso, ordinato prete, non più giovane, a 65 anni. Oggi conta 91 «primavere». Nel suo stringato appello ai giovani sembra dire anche: «Non è mai troppo tardi. Guardate me!».

don Alfonso Ugolini




LETTERAPadre Davide

Cari missionari,
certi che padre Davide Condotta ha raggiunto il Padre che sentiva vicino anche nella sua vita quotidiana, vogliamo esprimere il vuoto che ha lasciato nella nostra famiglia. Con avidità leggevamo le sue lettere dalla missione, colme di saggezza e sapienza. Sapeva incoraggiarci senza giudicare; aveva incarnato nella sua vita il vangelo con molta umiltà.
Ricordiamo con piacere la domenica delle palme, quando, camminando insieme, fra le «bidonvilles» di Mombasa, padre Davide aveva un’attenzione per tutti: bambini, giovani, mamme, non escludendo i non cattolici, anzi… Si capiva quanto era amato. Rimane il rammarico di non aver più tra di noi un uomo ricco di bontà, cultura e intelligenza.
A noi, però, ha lasciato un’eredità incisiva: «Mai dimenticare che Egli è con noi, come ha promesso… Non importa dove e come metteremo la nostra pietruzza (Europa, Africa ecc.), perché ciò che conta è il metterla come vuole Lui, per costruire il regno di Dio».
Parole che, pur non nuove, hanno acquistato significato, perché pronunciate da chi le ha vissute.

Padre Davide Condotta, missionario in Kenya, è deceduto da diversi mesi. Eppure continuiamo a ricevere numerose testimonianze di stima.
In altre parole: la missione contagia.

Emma e Paolo Moratto




LETTERANon si muore mai

Caro direttore,
eccoti la fotocopia della lettera che Enrica, mia sorella, ci ha lasciato prima di morire.
Giovanna Viganò
Torino

Ricordatevi che non si muore mai.
Non piangetemi per morta: ho solo cambiato «posto» in cui vivere. Ed è un bel posto, con milioni di amici nuovi e vecchi.
Un giorno ci ritroveremo tutti insieme: e sarà una gioia. Il rincontrarsi sarà anche il momento per capire come la morte è un dolore per chi resta, ma è una nuova vita per chi si dice essere “morto”.
Ma, anche prima di ritrovarci in questo nuovo mondo, il mio spirito sarà libero di volare verso i vostri cuori e dove sono stata felice.
Questo non è, dunque, un addio, ma un arrivederci. Ciao, Enrica

Enrica Viganò, affezionata lettrice di Missioni Consolata insieme alla famiglia, è mancata a 49 anni, colpita da cancro.

Giovanna ed Enrica Viganò




LETTERAMartiri algerini e valdesi

Signor direttore,
non le pare che meritino di essere riconosciuti dalla chiesa come martiri anche questi numerosi e umili figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo?

Lo meritano… La lettera, con una fotocopia de la Repubblica, si riferisce ai ricorrenti massacri in Algeria, come pure all’eccidio di numerosi valdesi, avvenuto in Calabria nel 1561.
Né si devono scordare i martiri di Timor Est o della Sierra Leone.

Aaldo Simonetta




LETTERAIsraele: la botte e il cerchio

Israele:
la botte e il cerchio

Caro direttore,
mi complimento per l’articolo su Israele («Missioni Consolata», dicembre 1998). Si affrontano problemi complessi, che hanno diviso e dividono non solo israeliani e palestinesi, ma anche l’opinione pubblica mondiale. Già il fatto di aver toccato alcuni temi (come quello della terra) merita apprezzamento per il coraggio dimostrato.
L’articolo mi ha ricordato il gioco dei bastoncini di quando ero bambino: sparpagliato il mazzo sul tavolo o sul pavimento, bisognava togliere un bastoncino alla volta senza muovere gli altri… Lei ha toccato i bastoncini israeliani senza offendere quelli palestinesi, e viceversa. In questo, però, ha esagerato nel dare un colpo alla botte e uno al cerchio.
Dalla sua analisi, direttore, posso tirare la conclusione che, nell’intricata matassa israeliano-palestinese, entrambi gli schieramenti hanno ragione?

Sia gli israeliani sia i palestinesi hanno diritto ad uno stato. Il che, per i secondi, non è ancora avvenuto… con conseguenze tragiche per tutti.
L’articolo ricorda anche le imprese sanguinose del terrorismo palestinese, a cui Israele risponde con spietate rappresaglie. È questo che il lettore intende per «un colpo alla botte e uno al cerchio»? Noi invece preferiamo l’immagine della medaglia, con due facce diverse.

Mauro Gatto




EDITORIALELa “barba” di tanti poveri cristi

Una volta Shangai era la capitale di tutti i vizi occidentali, compreso quello di commerciare foto poo. Lo scriveva Guido Ceronetti su La Stampa del 3 febbraio 1984, che precisava: «Un missionario, vecchissimo, della Consolata, che era stato a Shangai 35 anni, mi diceva che, in certi quartieri, di notte, si camminava su strati di mezzo metro di fotografie oscene. Lui stesso ne aveva portato quasi un quintale, in Italia, con la complicità delle autorità fasciste». Peccato che quel missionario non sia mai esistito!
Passano gli anni. Il giornalista ritorna alla carica con un altro prete, che stavolta esiste davvero. È Renzo Beretta, parroco di Ponte Chiasso (CO), impegnato pure nell’accoglienza e nel dialogo con gli immigrati. Finché il 21 gennaio 1999 viene accoltellato da un marocchino clandestino. E, su La Stampa del 24 gennaio, Ceronetti commenta:
«Una parrocchia troppo tranquilla dev’essere certamente una barba; è più eccitante, per un prete, una turbolenta… Se il prete resta vittima del male, della crudeltà e del saccheggio che avrà attirato nella parrocchia, accogliendo gente di ogni risma, di quella che i poteri nazionali seguitano, con la pietrosa arroganza di un’imperturbabile impostura, a definire “ricchezze in arrivo”, sono tentato di pensare che l’abbia proprio voluto, e che la coltellata assassina punisca in lui la misura varcata, un eccesso di benevolenza che finisce per essere colpa».
In altre parole: don Renzo la morte se l’è meritata. Chi è causa del suo mal pianga se stesso…
Siamo tentati di scusare Ceronetti ricordando che, secondo Voltaire, è un privilegio del genio commettere impunemente anche degli errori. Forse anche il giornalista de La Stampa gode del carisma del genio. Ma quale genio?
Che meschinità intellettuale dire: i preti che aiutano gli extracomunitari lo fanno per vincere la… barba! Allora vittime del «che pizza, ragazzi!» sarebbero pure quanti si impegnano nel mondo della tossicodipendenza, i volontari tra i barboni, le suore con le donne di strada… Mentre a Shangai quel fantomatico missionario (pure lui annoiato) collezionava quintali di foto poografiche.
Di più. Costoro non sono soltanto preda di una noia morbosa, ma rappresentano pure un pericolo, perché «espongono anche molti altri» alle… coltellate! Qui la meschinità è violenza.
Per noi don Renzo è un martire, un «cristo» come Gesù. Lo diciamo pensando pure al 24 marzo, giornata dei missionari martiri, che nel 1998 sono stati 39, senza scordare gli sconosciuti.
Sono profeti lungimiranti in un mondo di miopi. Gridano a tutti, in un universo di sordi, la via della salvezza.
I ciechi che non vogliono vedere e i sordi che non vogliono udire… questi, sì, che costituiscono una minaccia.

La redazione