Mongolia. Il lievito della democrazia

Dopo le elezioni parlamentari del 28 giugno

La gher (o iurta) è la tipica tenda dei mongoli nomadi o seminomadi. Oggi quasi la metà della popolazione vive nella capitale Ulaanbaatar. (Foto Vince - Unsplash)
Mongolia
Paolo Moiola

 

In questo 2024 di elezioni, venerdì 28 giugno è andata al voto anche la Mongolia – estesa 1,6 milioni di km2, ma con solo 3,5 milioni di abitanti (2 per chilometro quadrato) -. Si è votato per eleggere i rappresentanti del «Grande Hural di Stato», il parlamento unicamerale del Paese asiatico.

Al potere si è confermato il Partito del popolo mongolo (Man), formazione socialdemocratica nata nel 1990 dalle ceneri del partito comunista. Il Man avrà ancora la maggioranza, avendo ottenuto 68 dei 126 seggi totali (numero innalzato con la riforma costituzionale del 2023). Al secondo posto il partito democratico e, a distanza, altre tre piccole formazioni.

Schiacciato tra la Russia e la Cina, all’inizio del 1992 la Mongolia ha approvato una nuova Costituzione che ha posto le basi di un sistema democratico: multipartitismo, separazione dei poteri, riconoscimento dei diritti dei cittadini (libertà di religione compresa). Nonostante la vicinanza con i due grandi regimi totalitari, i dati delle principali organizzazioni internazionali (Freedom House, ad esempio) confermano la sua svolta democratica.

Privo di sbocchi al mare e con pochissima terra coltivabile a causa del clima rigido, il Paese è soprattutto un paese di allevatori – di pecore, capre, yak, cammelli, cavalli – nomadi o seminomadi. Ricca di risorse minerarie (carbone, rame, uranio, tungsteno, molibdeno su tutte), la Mongolia risulta molto attrattiva per gli investitori stranieri, in primis quelli della confinante Cina.

I problemi sono principalmente tre: la precaria condizione economica della maggioranza dei cittadini, la corruzione degli organi statali e le (gravi) conseguenze del cambiamento climatico.

I primi due hanno portato alle proteste di piazza del dicembre 2022, mentre i mutamenti climatici hanno reso ancora più aspro il fenomeno meteorologico noto come «dzud», ovvero un inverno particolarmente rigido (anche meno 30 gradi) e nevoso che non consente al bestiame di sopravvivere. Si calcola che quest’anno lo dzud abbia ucciso 7,1 milioni di animali, più di un decimo dell’intero patrimonio zootecnico del Paese.

Stando ai dati 2022 dell’Asian development bank, il 27,1 per cento della popolazione mongola vive sotto la linea della povertà. La maggior parte dei poveri si trova nella capitale Ulaanbaatar, dove si concentra quasi la metà della popolazione complessiva e che è considerata una delle città più inquinate del mondo.

Paolo Moiola

 

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Paolo Moiola
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