Tanzania: Kabula e i suoi nipoti


Nonna Kabula quando morì contava 113 anni. Forse anche di più, o forse meno, nessuno conosceva la data precisa della sua nascita. Era una nonna speciale, tanto da stupire gli stessi figli, nipoti e pronipoti fino alla sua morte nel 1995. Per non parlare del suo funerale. Infatti, dentro il lenzuolo che avvolgeva il suo corpo, volle che mettessero pure un sacchetto di «farmaci tradizionali africani», un tasbihi islamico, nonché un rosario cattolico.

Kabula nacque nell’isola di Ukerewe, nel cuore del maestoso Lago Vittoria, Tanzania. Apparteneva alla tribù dei Wasukuma.

Da ragazza, era pagana o seguace della «religione tradizionale». Sposandosi con un arabo di Mombasa (Kenya), si convertì all’islam. I due vissero sereni e generarono quattro figli. Improvvisamente lui morì e lei si trovò vedova, ancora giovane e bella.

Un giorno, a Mombasa, Kabula incontrò un modesto commerciante del Tanzania, della tribù dei Wahehe. I due convolarono presto a nozze a Tosamaganga (Iringa), mentre i quattro figli di Kabula rimasero a Mombasa con i parenti del padre defunto. Poi, siccome il nuovo marito era cattolico, la musulmana Kabula non esitò a farsi battezzare.

La donna era entusiasta della nuova fede: andare a messa la domenica vestita a festa, nella magnifica chiesa di Tosamaganga, ascoltare la parola di Dio, pregare cantando e ballando con uomini e donne, giovani e bambini… Ma che bello! E fu pure bello mettere al mondo altri due figli, ovviamente cattolici.

Però un giorno Kabula scoprì che il marito giocava a carte, buttando via tanti scellini, e beveva, beveva, quasi da impazzire.

La moglie non ce la fece a vivere con un uomo scialacquone, beone e folle. Affidò i due figli alla famiglia del marito e ritornò nell’Isola di Ukerewe a respirare la dolce brezza del Lago Vittoria.

Qui fece una scoperta. Kabula avvertì che Dio onnipotente l’aveva arricchita di un dono straordinario. Sì, quella donna era una «guaritrice», che conosceva i segreti arcani di tante erbe e piante terapeutiche. Donne sterili, uomini sessualmente impotenti, «indemoniati» che avevano perso il bene dell’intelletto, persino i lebbrosi… accorrevano da quella dottoressa, guarivano, e riprendevano a sorridere mormorando «asante sana» (grazie).

A 33 anni, Kabula si sposò per la terza volta. Gli abitanti di Ukerewe affermano che non si videro mai nozze come quelle di Kabula, vestita di bianco con l’abito del battesimo di Tosamaganga e il capo incoronato da un velo sontuoso. Il tutto in barba alla cultura dei Wasukuma, che vietano tanta pompa magna ad una donna al terzo matrimonio. Ma Kabula era speciale.

Due nipoti pure speciali

Con il trascorrere delle stagioni, Kabula diventò nonna e bisnonna di uno stuolo di nipoti e pronipoti che accorrevano a lei per un consiglio. Alcuni erano musulmani, altri cristiani e altri pagani.

Pietro è uno dei nipoti cattolici, nato a Tosamaganga. Da ragazzo aveva studiato in seminario per diventare prete. Un giorno domandò a Kabula:

– Nonna, qual è la tua religione?

– La religione di un solo vero Dio, creatore di tutti.

– Nonna, noi crediamo che solo il Cristianesimo sia la religione giusta.

– Lo so, Pietro, perché anch’io sono cristiana, ma sono pure musulmana.

E aggiunse: «C’è un problema spinoso, dovuto al fatto che sia i cristiani sia i musulmani ritengono che solo la loro religione sia vera. Nipote mio, ricorda: i fedeli di ogni religione sono tutti, allo stesso modo, figli amati dello stesso Dio creatore».

Pietro, divenuto sacerdote, poco dopo abbandonò la Chiesa Cattolica. Ne fondò un’altra con il nome di «Chiesa del Cristianesimo vivo» che si opponeva alla Chiesa di Roma, cui rinfacciava di essere schiava del Diritto Canonico e di altri precetti occidentali, mentre dimenticava quelli ben più significativi del Vangelo.

Un altro nipote di Kabula si chiama Amani, musulmano, ma sposato con una donna cattolica. Vivono in piena armonia a Mwanza, ognuno secondo i dettami della propria fede.

Quando Amani informò la famiglia che intendeva sposare una cattolica, sua madre lo apostrofò con furore: «Guai a te! Saresti la nostra vergogna! Avresti il coraggio di unirti ad una selvaggia infedele?».

Il nipote di Kabula non solo sposò «una selvaggia infedele», bensì commise pure un altro reato: tradusse il Corano in swahili, voltando le spalle all’arabo glorioso del profeta Muhammad. Eresse anche una moschea per «i musulmani tolleranti».

Un venerdì Amani predicò: «Il vero musulmano, timorato di Dio, non è colui che prega rivolto verso la Mecca, bensì colui che dona i suoi averi ai bisognosi, agli orfani, ai rifugiati…».

I nemici di Amani aumentarono. Fra questi, persino il fratello minore.

Una notte, senza luna e senza stelle, in casa di Amani esplose un ordigno che incenerì tutto, lui compreso, con moglie e i figli. Subito da un altoparlante si udì: «Allah akbar! Questa è la vendetta sacra dei combattenti di Allah contro i nemici dell’islam vero del profeta Muhammad!».

La bomba era stata posta dal fratello minore di Amani.

C’è una religione giusta?

La storia di «Kabula e i suoi nipoti» è tratta dal romanzo «I timorati di Dio di nonna Kilihona» di Gabriel Ruhumbika1. Nel suo testo Ruhumbika affronta argomenti impegnativi, quali: l’indagine sulla cultura tradizionale africana, il confronto fra le religioni, la riforma della religione e il suo valore intrinseco. Temi cruciali. Per questo l’autore merita apprezzamento.

Nel romanzo un genitore dichiara al proprio figlio: «Vedi, ragazzo mio, senza religione, io non saprei lavorare. E, da quando è morta tua madre, non saprei neppure vivere, oppure diventerei matto».

Il libro termina così: «La religione nasce nel cuore della persona e si manifesta nelle sue opere buone. In chiesa o in moschea non c’è fede, e neppure nei sacrifici agli spiriti della cultura africana. I timorati di Dio di ogni religione sono tutti figli diletti di Dio creatore. Alcuni generano divisioni nella società, allorché dichiarano che solo la loro religione è giusta».

Forse per questo Kabula fu, a pari merito, musulmana, cristiana e seguace della religione tradizionale africana.

E cristiano e pagano

«La persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni da coercizione da parte di singoli individui, gruppi e qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito ad agire in conformità ad essa». È una dichiarazione del Concilio Ecumenico Vaticano II2.

Nel riconoscere il diritto alla libertà religiosa, hai pure la facoltà di essere, nello stesso tempo, pagano, musulmano e cristiano? Sì, ce l’hai.

Tuttavia, in Africa, la scelta di «varie fedi religiose» è motivata da altri criteri, senza scomodare il diritto alla libertà religiosa.

Il terrore degli spiriti maligni, la paura dell’altro, l’incertezza sulla salute, l’ansia nel trovare lavoro… fanno sì che l’africano «affianchi» alla fede cristiana o islamica quella della tradizione degli antichi.

Si tratta di una «duplice appartenenza religiosa». Un fenomeno che i vescovi del continente africano, nel loro II Sinodo del 2009, giudicano come un problema, una sfida3.

La «duplice appartenenza religiosa» è giudicata una mancanza di fiducia nel proprio credo.

Il cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar Es Salaam, commenta: «Dobbiamo maturare nella nostra fede, perché molti cristiani, specialmente durante la malattia, mettono da parte il Dio di Gesù Cristo per affidarsi al guaritore tradizionale e, persino, allo stregone»4.

In altre parole, al mattino si va in chiesa e nel pomeriggio si bussa alla porta dello stregone.

«Solo cristiano» si può

È possibile scegliere e praticare «una sola religione»? È possibile, anche in Africa. Uno splendido esempio ci proviene dall’Uganda con San Mattia Malumba, uno dei 22 martiri locali.

Mattia, prima di scegliere di essere cattolico, rifletté a lungo sull’islam. Si confrontò pure con la Chiesa protestante pentecostale. Infine, a 50 anni, dopo aver meditato sul comportamento dei missionari cattolici, decise di abbracciare per sempre la loro religione. Morì martire nel 1886 tra atroci sofferenze.

Il suo sangue, come quello dei suoi 21 eroici compagni, fu un seme che generò altri cristiani.

Francesco Bernardi*

* Già direttore di MC; in Tanzania è direttore della rivista «Enendeni» (Andate).

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Note:

1) Titolo originale del romanzo di Gabriel Ruhumbika, Wacha Mungu wa Bibi Kilihona, E & D Vision Publishing, Dar Es Salaam 2014. Scritto in swahili, non esiste traduzione in altre lingue.
2) Dignitatis Humanae, 1045.
3) Cfr. Africarne Munus, 93 (Esortazione apostolica di Benedetto XVI, Roma 2009).
4) Enendeni, Januari/Februari 2012. Enendeni è la rivista dei Missionari della Consolata, Tanzania.