Carlo di Gesù (Charles De Foucauld)

Charles
De Foucauld nacque il 15 settembre 1858 a Strasburgo in Francia, visse una
giovinezza scapestrata, l’unica cosa che lo interessava era divertirsi.
Intraprese la carriera militare ma dopo pochi anni fu congedato per
indisciplina aggravata da cattiva condotta, un marchio disonorevole che lo
lasciò completamente indifferente. Incominciò a viaggiare e da audace
esploratore si addentrò in una zona sconosciuta del Marocco ricavandone notizie
interessanti che gli meritarono una medaglia d’oro dalla Società di Geografia
di Parigi. Toccato dalla fede profonda di alcuni musulmani conosciuti in
Africa, al suo ritorno in Francia ebbe una profonda crisi che lo portò a
riavvicinarsi alla fede cristiana decidendo di «vivere solo per Dio»; la sua fu
una conversione sconvolgente che gli cambiò radicalmente la vita. Entrò in un
monastero trappista e dopo alcuni anni si recò in Terra Santa per vivervi come
Gesù in povertà e nascondimento. Fece gli studi di teologia, al termine dei
quali fu ordinato sacerdote e ottenne di stabilirsi a Tamanrasset, un’oasi
sperduta nel cuore del deserto del Sahara, ove trascorse tredici anni dedicandosi
totalmente alla preghiera e all’ospitalità dei viaggiatori che vi facevano
sosta. Durante la sua permanenza in quell’ambiente, realizzò un aggioatissimo
dizionario francese – tamashek (la lingua dei tuareg), in uso ancora oggi.

Carlo, lo sai che sei
una delle figure più adamantine e originali della Chiesa del XX secolo?

Non
esageriamo adesso, sai benissimo che in gioventù ne ho combinate di cotte e di
crude. Il fatto stesso che fui congedato con disonore per indisciplina e
cattiva condotta dall’esercito francese la dice lunga sui miei trascorsi
movimentati.

Effettivamente parte
della tua vita fu segnata da intemperanze di non poco conto.

La
mia giovinezza fu segnata dal fatto che non credevo in nulla e che mi concedevo
ogni cosa desiderassi. Ma tutto ciò, paradossalmente, svuotò completamente la
mia vita di significato. Una volta congedato, partii come esploratore in
Marocco allo scopo di illustrare e descrivere zone inesplorate dell’Africa.

Fu in quell’occasione
che venisti a contatto con la fede islamica professata dagli accompagnatori dei
tuoi viaggi e dalla gente di quelle lande sperdute?

La
fede dei musulmani cominciò a far vacillare le mie laiche sicurezze tipicamente
francesi. Il vedere come quella gente semplice e umile si prostrasse cinque
volte al giorno in direzione della Mecca per rendere culto al Dio onnipotente e
misericordioso, provocò in me un’ansia di ricerca del senso della vita alla
quale forse per troppo tempo non avevo dedicato alcuna attenzione.

Fu al tuo ritorno in
Francia che la ricerca di Dio trovò il suo compimento.

È
vero, tornato nella mia patria incominciai con determinazione e insistenza a
percorrere un cammino che mi avrebbe aiutato a ritrovare la fede.

E quella tua ricerca
alla fine ebbe buon esito.

Sì,
nello stesso attimo in cui mi resi conto dell’esistenza di Dio, compresi che
non potevo fare altro che vivere per Lui, con Lui e soprattutto come Lui! Si può
dire che la mia vocazione religiosa risale al momento stesso in cui in me scoccò
la scintilla della fede.

Sei stato aiutato da
qualcuno nel tuo cammino?

Sono
grato a padre Henri Huvelin che mi accompagnò passo dopo passo nella mia
faticosa ricerca diventando un prezioso direttore spirituale. Da lui mi
confessai dopo tanto tempo e su suo consiglio decisi di recarmi nel 1888 in
Terra Santa per visitare i luoghi dove aveva vissuto Gesù.

Dove avvenne qualcosa
di importante per te…

Precisamente.
Fu proprio in quel viaggio che decisi di diventare monaco. Al ritorno in
Francia, nel gennaio del 1889 entrai nel monastero trappista di Nostra Signora
delle Nevi nella diocesi di Viviers, dove mi venne dato il nome di Alberico
Maria.

Però la tua ansia e
ricerca di Assoluto ti spingeva altrove, non è vero?

Nel
1901 fui ordinato sacerdote e il 28 ottobre dello stesso anno ritornai in
Africa e mi stabilii a Benis-Abbes, una zona situata proprio dove passava il
confine fra Algeria e Marocco. Nel 1905 mi spostai a Tamanrasset dove costruii
una piccola dimora in cui potevo fare le mie meditazioni, scrivere, contemplare
la creazione e dialogare con le persone che il Signore mi faceva incontrare.

Il silenzio e la
vastità del deserto favorivano la contemplazione del mistero di Dio?

Sì.
Passavo ore e ore contemplando quello che mi circondava, tutto ciò che vedevo e
ascoltavo, dal colore cangiante della sabbia del deserto che mutava alla luce
del sole delle diverse ore della giornata, al sibilare del vento che mi parlava
di Dio. Entrai col tempo in un rapporto intimo con Lui, vivevo una spiritualità
che andava sempre più concentrandosi sul Cristo Crocifisso e l’Eucaristia.

Se non vado errato,
cucisti sulla tua tunica bianca un cuore rosso di stoffa sormontato da una
croce.

Era
un modo silenzioso, profondamente efficace, di dare testimonianza dell’amore di
Dio e di Gesù suo figlio che aveva effuso lo Spirito dopo il sacrificio della
Croce sull’umanità intera.

Tu accoglievi ogni
persona che passava da Tamanrasset. Un modo sincero e profondo per offrire
ospitalità e dare testimonianza della tua fede cristiana.

A
tutti quelli che passavano di là, qualunque religione professassero, mi
presentavo loro come un «fratello universale». A tutti davo accoglienza e
ascolto, e cercavo di intavolare un dialogo pieno di rispetto e di
comprensione.

Oggi riflettendo sui
molteplici modi di annunciare il Vangelo, scopriamo che il tuo è quello più
congeniale per avvicinarci alle popolazioni di lingua, cultura e fede diversa.

La
testimonianza che io offrii in un angolo sperduto del deserto del Sahara non
aveva come obiettivo la conversione della gente. Era piuttosto centrata sul
fatto che, come discepolo di Gesù di Nazareth, non potevo fare altro che dare
lode al mio Dio, dare ragione della speranza e della fede che era nel mio cuore
e, come dice San Pietro, e cercare di esprimere sempre rispetto e tenerezza.

Certo, se si pensa
alle «conversioni» di interi popoli avvenute nei secoli passati con la
coercizione e la spada, c’è da restare allibiti per la disarmante semplicità
con cui hai presentato la fede in Cristo Gesù.

Quello
che apparentemente può essere ritenuta un’inutile perdita di tempo o un modo di
fare che non dà nessun risultato nell’immediato, se vissuto con amore e
dedizione, risponde invece a una potente logica evangelica, quella del seme che
muore per dare molto frutto.

Il tuo modo di agire,
il tuo carisma, hanno dato origine a una spiritualità cui si ispirano diversi
Istituti e Congregazioni che fanno della preghiera e della testimonianza
silenziosa uno dei cardini preziosi per annunciare Cristo Crocifisso.

Il
Signore edifica meraviglie servendosi della nostra povertà. Con la sua morte in
croce Gesù ha salvato il mondo. Con la pochezza degli Apostoli ha fondato la
Chiesa. È con la santità che si conquista il cielo, e la fede viene propagata.
Ricordiamoci sempre che la fede si è diffusa a macchia d’olio quando i
cristiani la celebravano nelle catacombe, mentre ha segnato il passo quando la
Chiesa era carica di ricchezze e splendori.

Oltre alla
contemplazione ti sei addentrato anche nella lettura e meditazione delle Sacre
Scritture. La tua prassi di vita ha inciso sul tuo modo di pregare?

Più
la Parola di Dio mi afferrava, più mi sentivo in sintonia con il Signore del
creato, con il Padre misericordioso che ama in maniera sconfinata tutti i suoi
figli e a lui mi abbandonavo completamente.

A mo’ di conclusione
di questa nostra intervista, puoi recitare la tua preghiera, quella che ti ha
qualificato nella Chiesa del XX secolo come un maestro di spiritualità?

Con
piacere… ripeti con me: «Padre mi abbandono a te, fa di me ciò che ti piace.
Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto
tutto, purché la tua volontà si compia in me, e in tutte le tue creature: non
desidero nient’altro, mio Dio. Rimetto l’anima mia nelle tue mani, te la dono,
mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. È per me un’esigenza
di amore, il donarmi a te, l’affidarmi alle tue mani, senza misura, con
infinita fiducia: perché tu sei mio Padre».

Il
primo dicembre del 1916 l’umile dimora di Charles De Foucauld fu saccheggiata
da predoni sbandati del deserto. Gioi dopo il suo cadavere fu ritrovato
abbracciato all’Ostensorio che conteneva ancora le particole consacrate.

Benedetto
XVI l’ha beatificato il 13 novembre 2005.

 
don Mario Bandera
Missio Novara

Mario bandera