Amare la patria, amare la chiesa

Premessa

Iniziata con l’espulsione di tutti i missionari stranieri, continuata con la costrizione dei cattolici a formare una chiesa nazionale e con la persecuzione di quelli rimasti fedeli al papa, la storia della Chiesa cattolica in Cina negli ultimi 60 anni è stata segnata dal martirio. All’insegna dello slogan «aiguo; aijiao» (amare la patria o amare la chiesa) i cattolici erano costretti a scegliere: aderire alla Chiesa ufficiale o patriottica oppure entrare in clandestinità per rimanere fedeli alla Chiesa di Roma. Tale storia non è ancora finita, anche se negli ultimi decenni sono avvenuti molti cambiamenti sostanziali nei rapporti tra Cina popolare e Santa Sede.
Il comunismo capitalistico attuale non è più il comunismo di Mao; il Vaticano non è più considerato un «imperialista, nemico della rivoluzione», anche se certi cliché propagandistici sono ancora forti, soprattutto tra gli amministratori più periferici e di vecchio stampo. Nonostante le tante aperture e modeizzazioni del regime negli ultimi decenni, la Cina segna il passo in fatto di diritti umani, di libertà religiosa e di coscienza. Arresti e vessazioni contro clero e fedeli cattolici continuano in vari luoghi e occasioni.
Anche il Vaticano è passato dalla scomunica del comunismo alla Ostpolitik e sta tentando tutte le vie possibili per riallacciare le relazioni diplomatiche con Pechino, fino a chiedere perdono di eventuali errori storici e del colonialismo, come ha fatto Giovanni Paolo II. Ma neppure a Roma mancano contrasti e resistenze tra i fautori del dialogo e i sostenitori della linea dura contro il regime cinese e i suoi emissari.

Più delle persecuzioni estee, a preoccupare il Vaticano è la persistente lacerazione all’interno dei cattolici cinesi. Nonostante tutto, dal punto di vista dottrinale la Chiesa in Cina rimane un’unica Chiesa: fede, tradizione, liturgia sono rimaste intatte in ambo le parti. Propaganda ufficiale a parte, i fedeli non sentono più l’alternativa tra l’amore per la patria e per la Chiesa e il papa, ma vogliono partecipare alla vita e modeizzazione del paese come tutti gli altri cinesi, senza rinunciae alla comunione con il successore di Pietro.
A livello di unità vissuta, invece, le ferite tra cattolici ufficiali e clandestini sono ancora aperte, rancori e risentimenti sono molto vivi, nonostante gli appelli al perdono e alla riconciliazione. In più di cinquanta occasioni Giovanni Paolo II ha espresso pubblicamente il suo affetto nei confronti dei cattolici cinesi. Benedetto XVI il 27 maggio 2007 ha inviato una lettera ampia, precisa e affettuosa, in cui manifesta la sua stima per tutto il popolo cinese e incoraggia i cattolici a perseverare nella fede e a percorrere la strada evangelica della riconciliazione.
Punctum dolens da oltre 60 anni e ostacolo più ingombrante nel cammino dell’unità ecclesiale e della normalizzazione dei rapporti tra Roma e Pechino, inoltre, rimane il problema delle nomine e ordinazioni episcopali, alle quali il Vaticano non può rinunciare, poiché nella teologia cattolica fanno parte della natura della Chiesa, e Pechino non vuole rinunciare, poiché sono uno strumento essenziale per mantenere il controllo sociale sulle attività ecclesiali.
Da alcuni anni si sono avute varie ordinazioni episcopali concordate tra Pechino e Santa Sede. Da parte cinese non si tratta di una «conversione» dei quadri del partito, ma di mero opportunismo: il governo ha constatato che i vescovi eletti e ordinati senza il mandato apostolico rimangono isolati e non hanno autorevolezza sui fedeli, che disertano le chiese da loro guidate e si rifiutano di ricevere i sacramenti dalle loro mani. Molti nuovi vescovi, all’inizio e alla fine della loro consacrazione, ci tengono a sventolare in pubblico la lettera di nomina papale.

Da novembre 2010, purtroppo, sono riprese le ordinazioni di vescovi senza mandato papale, con grande delusione e proteste vaticane, allargando il fossato di ignoranza e diffidenza reciproca e rendendo più ardua la strada del dialogo, di cui entrambi gli interlocutori sentono stringente bisogno.
Per superare tale fossato ed entrare nella Cina, bisogna passare per la porta del cuore e dell’amicizia. La Cina di oggi è diventata «poco comunista», ma continua ad essere «molto cinese», come era quattro secoli fa, ai tempi di Matteo Ricci (1552-1610), il grande missionario gesuita entrato nella corte imperiale grazie al suo delizioso «Trattato sull’amicizia».

Benedetto Bellesi 

Benedetto Bellesi