DA
MUSULMANI A CATTOLICI storie di
convertiti
Lasciare l’islam è molto
rischioso. L’apostasia è «haram», vietata assolutamente: potrebbe anche
costare la vita. Ma Monica ed Agostino, giovane coppia algerina, lo hanno
fatto. Oggi vivono in Italia con i loro tre figli, e raccontano che…
Come i cristiani convertiti all’islam, anche gli islamici convertiti al
cattolicesimo sono radicali nei loro giudizi.
Val Varaita (Cuneo).
Uno scenario di montagne rischiarate dal sole circondano la casa abitata
dalla famiglia Fadel (il cognome è di fantasia). Veniamo accolti con un
bel sorriso, mentre ci accomodiamo nel salotto. Agostino e Monica sono una
giovane coppia con tre figli. Arrivano dall’Algeria, martoriata dalla
guerra civile.
I loro nomi di battesimo sono
veri, e il termine appena usato non è inappropriato: sono cristiani venuti
dall’islam. Ma non possono gridarlo forte come vorrebbero o con l’orgoglio
che contraddistingue tutti coloro che, dal cristianesimo o
dall’agnosticismo, giungono all’islam. A loro non è permesso: a differenza
di chi «ritorna» (si converte) alla religione coranica, ed è ben accolto
dalla ummah, la comunità dei fedeli, chi abbraccia il credo cristiano o
qualsiasi altro, è considerato un traditore, apostata e dunque passibile
di morte. La ridda o irtidad (apostasia) è haram, vietata assolutamente
(vedere scheda).
«Erano anni che sentivamo
profondamente nella nostra vita l’esigenza della conversione al
cristianesimo – raccontano Monica e Agostino – e, dopo lo scoppio della
guerra civile in Algeria, molti nostri connazionali sono andati verso
Cristo. L’islam, così come lo abbiamo visto nel nostro paese in
quest’ultimo decennio, ci aveva spaventati. Non predica amore e
compassione come il cristianesimo. Ecco, proprio questo ci ha molto
colpiti della figura di Gesù e dell’opera di tanti missionari: l’amore,
l’altruismo, quel profondo rispetto e tenerezza per gli esseri umani, per
la dignità della vita».
«Abbiamo svolto lunghe ricerche,
nel corso degli anni – spiega il marito -, ci siamo documentati molto sul
cristianesimo. Mia moglie ha scoperto persino che un suo trisavolo era
cristiano».
«Sì, ma nessuno in famiglia ne
parlava: poteva essere pericoloso. Da noi non si può leggere la bibbia: è
considerato un atto di apostasia. Anche andare a messa la domenica è
pericoloso: la polizia ci controlla. Pensare che nella tradizione islamica
berbera sono molti i segni ereditati dal cristianesimo: le donne, ad
esempio, sono tatuate con croci e pesci».
Come hanno reagito alla vostra
scelta le rispettive famiglie?
«Nessuno di loro ci ha contestato
o criticato. Noi, d’altro canto, non abbiamo mai avuto timori. Quella di
diventare cristiani è stata una decisione accarezzata da tempo, desiderata
profondamente. E da allora la nostra vita è cambiata completamente».
«Anche il nostro rapporto di
coppia si è modificato – risponde Monica -. Prima eravamo legati alle
tradizioni, all’entourage familiare, alla differenza tra uomo e donna,
alla sudditanza della seconda al primo. Eravamo tesi, litigiosi. Ora è
diverso: è come se un nuovo orizzonte si fosse aperto davanti a noi. Un
orizzonte che ci piace e in cui ci sentiamo bene e siamo felici, e con noi
i nostri figli».
Sono battezzati anche loro?
«No, anche se l’intenzione
iniziale era quella – racconta Agostino -. Ci fu consigliato di aspettare
che i ragazzi crescessero e potessero scegliere da soli: un musulmano che
abbraccia un’altra religione è perseguitato, può incorrere in seri
problemi, ed è meglio che i nostri figli, per il momento, li evitino. Nel
frattempo vanno a catechismo».
Quando è iniziata la vostra
ricerca?
«Nel ’90 ed è andata avanti fino
al ’94. Ci eravamo trasferiti in Italia per cercare lavoro e serenità –
ricorda Monica -. Tuttavia, poiché non avevamo alcun tipo di
regolarizzazione, facemmo ritorno in Algeria per avviare le pratiche per i
permessi di soggiorno. Lì la situazione era drammatica: la guerra civile
seminava morte e distruzione e i nostri figli, che parlavano solo
italiano, erano spaventatissimi e spaesati.
Dal ’94 al ’99 ci trasferimmo in
Tunisia: iscrivemmo i ragazzi in una scuola italiana, mentre mio marito
trovò lavoro come interprete per una ditta italiana. Io ero dirigente in
una fabbrica di abbigliamento. Insomma, avevamo trovato una buona
sistemazione. Frequentavamo la comunità dei cristiani, tunisini ed
europei. Alla domenica, tra mille difficoltà, andavamo a messa nella
cattedrale di Tunisi e incontravamo i nostri compagni di fede. Spesso,
tuttavia, arrivava la polizia e ci portava in commissariato, dove venivamo
interrogati a lungo: “Voi siete musulmani, perché frequentate la chiesa?”.
Era questa la domanda di rito».
«Ma noi proseguimmo il nostro
percorso: andavamo a catechismo, alle riunioni di preghiera e di
riflessione – continua Agostino -. In quei luoghi incontravamo decine di
arabi di origine islamica convertiti al cristianesimo. È molto rischioso
lasciare l’islam, può costare la vita, ma Gesù ci è stato vicino. Fu
proprio la fede in lui che ci diede la forza per superare la paura delle
persecuzioni, quando, nel ’99, dalla Tunisia ritornammo in Algeria. Lì la
nostra situazione era ancora più pericolosa. Facevamo anche 300 chilometri
per raggiungere il luogo per gli incontri spirituali. Nonostante tutto
ciò, comunque, abbiamo proseguito».
La fede è dunque una componente
importante nella vostra vita?
«Fondamentale – risponde Agostino
-. Il Signore è presente nelle nostre giornate e ci guida: tutti gli
ostacoli si trasformano positivamente e misticamente».
«In Algeria era difficile davvero
trovare l’occasione per pregare o per andare a messa – sottolinea Monica
-. A casa c’era sempre qualcuno delle nostre famiglie, ed io, facendo la
sarta, ricevevo molte donne e avevo sempre il timore che i miei figli,
abituati a parlare liberamente, rivelassero loro la nostra scelta
religiosa. Era rischioso, bisognava stare attenti. In particolar modo
quando, una volta al mese, veniva un sacerdote a celebrare la messa a casa
nostra, chiudevamo tutte le finestre e parlavamo a bassa voce. Nessuno
doveva sentirci. Ma siamo stati coraggiosi e tutto è sempre andato per il
verso giusto, anche quando, nel 2001, ci siamo trasferiti in Italia».
«Abbiamo infatti subito trovato
casa e lavoro, e presentato i documenti per la regolarizzazione – la
interrompe Agostino -. I nostri figli frequentano le scuole medie e
superiori e sono ben inseriti, vanno in parrocchia, hanno tanti amici.
Insomma, siamo felici e di questo ringraziamo Dio tutti i giorni.
Qualunque cosa chiediamo a Gesù, lui ce la concede. E noi lo ringraziamo
facendo tanto volontariato, soprattutto mia moglie: è un’attività che ci
piace molto, che ci dà gioia. Amare, donare, è qualcosa di magnifico, che
nell’islam ci mancava completamente.
Spesso, nei nostri paesi i soldi
della zakat, l’elemosina legale islamica, finiscono nella compra-vendita
di armi o nelle tasche dei ricconi potenti. Venendo dall’islam abbiamo
potuto constatare di persona la differenza tra questa religione e il
cristianesimo: chi segue l’insegnamento di Cristo ha tanto amore da dare,
ha un grande cuore e agisce per il prossimo senza interessi. Non è così
nell’islam! Prendiamo il pilastro stesso del digiuno durante il mese di
ramadan: è vietato mangiare dall’alba al tramonto, ma poi ci si abbuffa di
sera, spendendo un capitale in acquisti. Anche il cibo viene sprecato e i
prezzi lievitano. Ecco che, nonostante le critiche, si macchiano dello
stesso consumismo di cui accusano i cristiani per il natale».
«Ridda» ll termine muslim significa In una prospettiva islamica, In Egitto, Marocco, Iran e Tuttavia, in questo inizio di Che Apostata è una persona che «La religione presso Iddio è «Iddio non perdona che gli si «Combattete coloro che non «I credenti sono coloro che «Non prostratevi al sole o «Giurano in nome di Dio che «Coloro che commettono «Che non vi sia costrizione «Coloro che credettero e poi «Quando poi siano trascorsi i Che «Alcuni commentatori sono Secondo altre tendenze, è Studiosi delle quattro scuole Non vi deve essere costrizione La pena Premesso tutto ciò, se una Le modalità che portano alla Chi rifiuta l’islam pur Chi si converte all’islam e Nel caso, raro, in cui un Tra i malikiti, gli hanbaliti Tuttavia, il fatto stesso che Molti studiosi sostengono che A. L. Riferimenti bibliografici:
Hamza Roberto Piccardo (a cura Abdurrahmani al-Djaziri (a Jean-Marie Gaudeul, Vengono Mohammad Talbi, Le vie del Aa.Vv., Dibattito Sito internet:
(1) Ahmad Faiz bin Abdul
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A colloquio con
don Fredo Olivero
(responsabile dell’ufficio
Migranti della Caritas di Torino)
Don Fredo, hai mai incontrato
musulmani che ti chiedono di aiutarli a diventare cristiani?
«Sì. Ma voglio premettere che,
secondo noi, gli immigrati devono vivere bene la propria fede. Poi, se
qualcuno ci chiede informazioni sul cristianesimo, gliele foiamo».
Quanti sono quelli che si sono
avvicinati alla chiesa cattolica?
«La cifra esatta è difficile da
quantificare, ma sono almeno un centinaio, negli ultimi anni, quelli che
hanno chiesto di avere una bibbia in arabo o in francese. A tutti coloro
che ci chiedono di abbracciare la fede cattolica noi consigliamo
un’attenta riflessione; gli diciamo: “Fate attenzione, perché nei vostri
paesi perdete ogni diritto. Se avete programmato di stare qui per sempre,
va bene, ma se avete intenzione di far ritorno in patria, può diventare
pericoloso”. Molti, alla fine, ci ripensano.
Saida, una ragazza somala,
recentemente mi ha detto: “Ora basta. Sono due anni che metti ostacoli
alla mia conversione. Ho deciso: voglio diventare cristiana. Sono stata
accolta da voi e non mi avete chiesto nulla: ecco ciò che mi ha
conquistata. Per queste ragioni voglio farmi battezzare”. Adesso sta
seguendo il percorso catechistico e fra due anni potrà ricevere il
battesimo.
Ma anche momenti come “Estate
ragazzi”, al Centro Asai, possono servire affinché gli adolescenti,
italiani e immigrati di fede islamica, si conoscano e facciano amicizia.
Ci sono infatti molti ragazzini musulmani che frequentano l’oratorio e il
catechismo: loro ci parlano della loro religione e noi della nostra. È
molto bello. È un’occasione preziosa di dialogo».
Quali sono i gruppi etnici di
fede islamica che hanno chiesto il battesimo in questi ultimi anni?
«Senegalesi, ivoriani, somali,
maghrebini, albanesi».
Quanti sono stati finora?
«Due o tre all’anno. Prima erano
solo albanesi, nell’ordine di una decina e altrettanti dai paesi dell’Est.
Mi viene in mente una coppia, lui regista, lei attrice di teatro. Da anni
risiedono in Italia e sono diventati cristiani dopo un lungo percorso di
studio e ricerca.
Comunque, noi non cerchiamo di
convertire nessuno. Tentiamo soltanto di far conoscere all’immigrato
musulmano l’ambiente culturale e religioso in cui ha scelto di vivere. È
importante che l’accoglienza parta da una solida identità sia del paese
ospite sia delle comunità immigrate.
Gli albanesi invece spesso
confondono la religione cristiana con la cittadinanza italiana, quasi che
la prima possa aiutare ad ottenere la seconda. Ma non è così, ovviamente».
Ti è mai capitato che qualche
musulmano ti chieda di abbracciare l’islam?
«Certo. E gli rispondo: “Ciascuno
di noi pensa che la propria fede sia la migliore. Allora, tu ti tieni la
tua ed io la mia”. E così, in condizioni di parità, possiamo ragionare sul
valore dell’amicizia, per esempio.
Qui, alla Caritas-Migranti,
portiamo avanti un confronto dove ognuno accetta l’altro senza cercare di
convertirlo. È necessario che passi il concetto della “diversità” e della
tolleranza».
E come la metti con il divieto
islamico dell’apostasia?
«Generalmente, all’interno di una
comunità etnica tutti vengono a sapere se una persona ha lasciato l’islam
per il cristianesimo. Qui in Italia ciò che rischiano è, al massimo,
qualche insulto.
Nei paesi d’origine il pericolo è
maggiore, e si può essere oggetto di discriminazione e minacce di morte.
Questo non vale per gli albanesi: la religione non conta molto. I
marocchini, invece, disprezzano i convertiti, li considerano gente venduta
all’Occidente».
A colloquio con
don Tino Negri
(direttore del Centro diocesano di
Torino per le relazioni cristiano-islamiche)
Don Tino, quanti sono i
musulmani che si sono convertiti al cattolicesimo?
«È impossibile saperlo, perché non
vanno in giro a raccontarlo».
Ne hai incontrato qualcuno?
Puoi parlarne?
«Due o tre, ma non ho saputo quasi
nulla dei motivi che li hanno spinti alla conversione. Occorre del tempo
per entrare in amicizia: le persone che ho conosciuto si sono limitate a
comunicarmi che sono diventate cristiane e a partecipare alla messa da me
celebrata facendo la comunione. Ed è già molto».
Perché, nella ummah islamica,
la conversione di musulmani albanesi è più tollerata rispetto a quella
degli arabi?
«Perché gli arabi considerano se
stessi il centro del mondo e della fede islamica e pensano che solo loro
siano in grado di esserle fedeli, mentre gli altri gruppi etnici possono
diventare dei traditori, perché non appartenenti alla “culla
dell’islam”».
Come si pone la chiesa di
fronte al fenomeno delle conversioni di musulmani?
«La chiesa è mandata da Cristo ad
evangelizzare e, dunque, deve accogliere nella comunità coloro che
chiedono il battesimo. Tuttavia occorre qualche prudenza. Prima di tutto,
è necessario verificare la vera disponibilità alla conversione; poi, è
indispensabile una seria e lunga preparazione catecumenale, e verificare
che la persona sia indipendente, che abbia cioè un lavoro, che non
coinvolga la moglie (nel caso sia sposato e questa non voglia seguirlo
nella sua scelta), che sia libero da pressioni dei genitori e da
ritorsioni del suo ambiente, e così via.
Il battesimo non dovrà essere un
atto pubblico (soprattutto se si tratta di un arabo), e sarà
indispensabile per lui o lei essere inseriti in una comunità veramente
accogliente.
Sarà necessario un accompagnamento
continuo nella fede, perché molti neofiti incorrono in problemi ulteriori
e rischiano di abbandonare la strada che stanno percorrendo.
Per tutte queste difficoltà
bisogna evitare di battezzare i minori, a meno che non ci sia l’appoggio o
la conversione dei genitori».
Che dimensioni ha, secondo te,
il fenomeno delle conversioni? Si tratta di casi isolati?
«A mio parere si tratta ancora di
pochi casi. È certo che, se fossero liberi di scegliere, molti musulmani
passerebbero al cristianesimo. Troppi hanno paura di farlo e altri non
conoscono il cristianesimo, perché l’islam ne dà un’immagine sbagliata,
proibendo anche di leggere i vangeli».
Angela Lano